Una riforma a metà

Da un lato, importanti novità per il processo civile, dall’altro il riordino del contezioso tributario. Il legislatore è intervenuto per cercare di rendere più funzionale e rapida la giustizia civile, ma molto resta ancora da fare. Come è emerso in una tavola rotonda organizzata da Legal

L’obiettivo dichiarato dell’ultima riforma del processo civile era e resta quello di migliorare l’efficienza della giustizia e tagliare i tempi morti. Prevede, per esempio, che le cause civili davanti alle sezioni semplici della Corte di Cassazione siano risolte, di regola, in camera di consiglio e non più in pubblica udienza.
[auth href=”https://www.lefonti.legal/registrazione/” text=”Per leggere l’intero articolo devi essere un utente registrato.
Clicca qui per registrarti gratis adesso o esegui il login per continuare.”]E che gli avvocati e i pubblici ministeri possano interloquire solo per iscritto. Non solo: altre novità riguardano il processo in primo grado e il processo amministrativo telematico. Ma quello che voleva essere un valido strumento per ridurre la durata dei processi e abbattere il contezioso ha veramente raggiunto gli obiettivi prefissati? A giudicare dal malcontento generale sembrerebbe che la riforma non abbia apportato alcuno snellimento alle norme di procedura e che piuttosto servirebbe riformularla.
Delle criticità e delle possibili soluzioni si è discusso durante la tavola rotonda organizzata da Legal, dal titolo «Processo civile e tributario: cosa è cambiato con la riforma», moderata dal direttore responsabile delle testate economiche di Le Fonti, Angela Maria Scullica. Al dibattito, che ha previsto anche il confronto sul riordino del contenzioso tributario, dopo un anno e mezzo dall’entrata in vigore della riforma, e di come la legge 197 del 25 ottobre 2016 sull’efficientamento della giustizia contribuisca concretamente a creare un «sistema fiscale più equo e trasparente», hanno partecipato esperti nel settore come Flavia Di Luciano, di Stufano Gigantino Cavallaro e Associati Studio Legale e Fiscale, Fabio Ciani, di Studio Tonucci & Partners, Angela Giebelmann, di Hgas – Giebelmann & Salvoni, Pierfrancesco Marone dello Studio Legale Marone, Nicola Romano, di CastaldiPartners e Stefano Sutti, dello Studio Legale Sutti.

In che modo viene percepito il sistema processuale italiano e come viene vista questa riforma?
sutti Il sistema processuale per un avvocato rappresenta essenzialmente uno strumento in grado di ottenere determinati risultati o per prevenire che sia la controparte a ottenerli a danno dei propri rappresentati. Non esistono sistemi processuali ideali ed è ovvio che quando si tratta di contese tra parti private, vi è sempre una favorita e una sfavorita da qualsiasi norma o sistema. Penso vi sia d’altronde un’involuzione progressiva nella cultura del processo civile italiano che è preoccupante dal punto di vista professionale. Mentre dagli anni ‘80 la procedura penale si è evoluta in una direzione largamente desiderabile, e oggi vi sono delle novità significative, moderne ed efficienti per quanto riguarda il processo tributario, per il processo civile si continuano a registrare ritocchi episodici, demagogici e contraddittori che spingono nella direzione di un processo sempre più dirigista e inquisitorio, in cui il miglioramento ricercato sta solo nell’abbattere il contenzioso o ridurre la durata dei processi a qualsiasi costo. Ma anche ignorando il problema essenziale della qualità della giurisdizione, appare dubbio che i ritocchi eseguiti nel tempo abbiano davvero migliorato la situazione. Quest’ultimo intervento, per esempio, tocca un aspetto molto delicato che è il processo in Cassazione, il quale fa venire meno la possibilità del contatto tra l’avvocato e i giudici che decidono in ultima istanza la sua causa. La pubblica udienza non era essenziale in sé, al fine di una corretta decisione, ma costringeva il relatore a fare una presentazione orale e pubblica agli altri membri del collegio, venendo così forzato a raccogliere le idee; il pubblico ministero era chiamato a sua volta a intervenire; mentre l’avvocato, aveva l’opportunità non tanto di dar sfogo a velleità oratorie, quanto di controbattere o chiarire nel caso la vera materia della sua impugnazione fosse stata fraintesa. Tutto questo, oggi, va a sfarinarsi in un procedimento destinato ad avvenire in camera di consiglio, senza nessun tipo di contatto personale e possibilità di replica. Non mi pare una situazione positiva.
ciani Le statistiche segnalano che due terzi delle cause che pendono nel giudizio di legittimità sono fiscali. Bisogna capire se questi timidi tentativi di emendare in senso innovativo l’andamento processuale abbiano avuto o meno un impatto importante. Io vedo una proliferazione nell’ambito del processo tributario dell’udienze, ovvero la possibilità, recentemente concessa, di chiedere, sulle sentenze aggravate di ricorso in Cassazione, una sospensiva a una commissione tributaria regionale (cosa prima non prevista).
marone Ad oggi la cosiddetta riforma è stata attuata con un decreto legge e risulta essere ancora in fase di discussione per l’eventuale conversione in legge. Il progetto di legge sta rimbalzando tra Camera e Senato. È chiaro che il carico dei procedimenti pendenti in Cassazione rappresenta un’emergenza da molto tempo. Tuttavia il nostro legislatore, invece che aumentare l’organico dei magistrati previa verifica della produttività, come al solito tende a preferire una soluzione più rapida e meno onerosa a costo di sacrificare il diritto di difesa. Infatti, permettere che un ricorso in Cassazione venga deciso in camera di consiglio, senza che si verifichi un minimo di dialettica tra la corte e il legale, è estremamente penalizzante. Non è invece cambiato nulla nell’ambito del procedimento civile e nei gradi precedenti. Tra le ipotesi di riforma vi è quella di modificare l’introduzione del procedimento civile attraverso il deposito di un ricorso in luogo della notifica di un atto di citazione, utilizzando così le regole previste dal rito per le controversie in materia del diritto del lavoro. Si tratta quindi di sostituire l’atto di citazione, che prima viene portato a conoscenza della controparte e successivamente all’attenzione dell’organo giudicante, con un ricorso. In pratica prima si adisce l’autorità giudiziaria e successivamente si provvede a mettere a conoscenza la controparte del fatto che si sia promosso un procedimento civile. Questa potrebbe essere una soluzione per limitare e concentrare i tempi processuali ma comunque a condizione che questo venga accompagnato da un potenziamento quantitativo e qualitativo dei magistrati e del personale amministrativo dei tribunali. Vi è anche la proposta di estendere la portata dell’art. 281 sexies che prevede la possibilità per il giudice di far discutere le parti in sede di udienza di precisazione delle conclusioni e quindi pronunciare sentenza all’udienza stessa, evitando così i tempi necessari per il deposito di atti scritti. Anche in questo caso si tende a voler ricalcare quello che è l’attuale rito del diritto del lavoro. È innegabile che anche questa proposta sulla carta consentirebbe di abbreviare i tempi per l’emissione della sentenza (circa 80 giorni) ma ciò richiederebbe che il giudice arrivi all’udienza di precisazione delle conclusioni già preparato sui fatti di causa. Diversamente questa proposta di riforma verrebbe privata di ogni utilità.

Quali sono le modifiche apportate al contenzioso tributario e i suoi reali risvolti?

giebelmman Le modifiche apportate dalla riforma risultano tutto sommato banali, ma comunque tali da incidere sulle posizioni delle parti. Per esempio il secondo comma dell’articolo 480 c.p.c. prevede che il precetto rechi l’avvertimento al debitore circa la possibilità di porre rimedio alla situazione di sovraindebitamento con l’ausilio di un organismo di composizione. In Germania le procedure esecutive non richiedono la notifica di un atto di precetto. Vi è invece il rimedio del sovraindebitamento, ma viene considerato come un’insolvenza personale. In materia di conversione del pignoramento, il quarto comma dell’articolo 495 c.p.c. ora ammette la rateizzazione nel versamento della somma da pagare anche per l’esecuzione mobiliare, come già previsto per l’esecuzione immobiliare. E l’equiparazione tra le due tipologie di procedura riguarda anche le modalità di attribuzione ai creditori delle somme versate dal debitore. Altra novità portata dal decreto legislativo 83 del 2015 è l’introduzione dell’articolo 2929 bis Codice civile: finora conoscevamo soltanto la revocatoria ordinaria, per cui nei confronti di un debitore spogliatosi del patrimonio doveva necessariamente essere intrapresa un’azione revocatoria, rinviando al relativo esito la procedura esecutiva. Ora, invece, i beni immobili e mobili registrati possono essere aggrediti in via esecutiva anche se sottoposti a vincolo di indisponibilità o alienati a titolo gratuito, nel termine di un anno dalla data in cui gli atti di disposizione sono stati resi conoscibili. In altri termini, alle suddette condizioni non è più necessario intraprendere l’azione revocatoria e attendere il relativo esito. Questa è una novità di notevole impatto per la tutela dei diritti.
romano A mio parere l’elemento fondamentale è innanzitutto il concetto della semplificazione nella stesura degli atti e delle sentenze. Sempre più spesso si trovano degli avvocati che cercano la sintesi per fornire degli strumenti interpretativi al giudice in modo da accelerare la giustizia. La tendenza è quella di snellire i procedimenti per arrivare a una soluzione più rapida. Detto questo, il punto è trovare un equilibrio su tutto il territorio italiano. Uniformare la procedura è fondamentale per il sistema giustizia ma è chiaro che vi è ancora casualità (e non prevedibilità) dei risultati. Tra le ragioni che hanno portato alla stesura di questo decreto, quella della necessità di uniformità di applicazione è evidente per tutti. Per capire cosa stia succedendo basta andare sul sito della Cassazione e verificare che effettivamente dal 2012 sono disponibili tutte le sentenze pubblicate dalla Corte: ciò dimostra la concreta volontà di creare uniformità di applicazione. Il trend di semplificazione è inevitabile e non deriva dalla legislazione, ma da un contesto esterno. Per esempio, una decina di anni fa, pensare di avere una condanna alle spese in un procedimento civile era l’eccezione, c’era sempre una ragione per compensare le spese. Adesso la compensazione è diventata l’eccezione e la condanna alle spese è stata sdoganata divenendo uno strumento per prevenire appelli o cause infondate. Questo aspetto si è modificato sia grazie a un contesto legislativo differente sia grazie a un cambiamento di mentalità dell’apparato giudicante.
romano I problemi di lentezza ci sono dappertutto: il punto è capire se e come queste riforme saranno applicate. La riforma del 1993 veniva applicata dai giudici in modo diverso a seconda dei tribunali e con strumentalizzazione di norme che il legislatore, sulla carta, aveva fatto per anticipare i tempi del processo ma che, poi, nella pratica, servivano solo a posticipare nel tempo il regolare svolgimento del processo. Con questo intervento qualcosa in più si semplifica, ma rimane il problema.
di luciano La riforma si prefiggeva lo scopo di deflazionare il contenzioso e di garantire maggiore tutela al contribuente ma, secondo me, entrambi gli obiettivi non sono stati pienamente raggiunti. In un’ottica deflattiva, l’istituto maggiormente ritoccato è, come noto, quello della mediazione, radicalmente riformato dal decreto legislativo n. 156 del 24 settembre 2015 su due fronti: quanto all’ambito oggettivo di applicazione, i novellati commi 1 e 10 dell’art. 17 bis specificano che non sono reclamabili le controversie di valore indeterminabile e gli atti aventi a oggetto il recupero di aiuti di Stato ex art. 47 bis; per converso, a prescindere dal valore, è stata prevista la reclamabilità degli atti relativi al classamento e all’attribuzione della rendita catastale. Per quel che concerne l’ambito soggettivo di applicazione della nuova disposizione, l’istituto è stato esteso a tutti gli enti impositori e ai comuni. Inoltre, alla luce della novella normativa anche le controversie proposte avverso atti reclamabili possono costituire oggetto di conciliazione. Ripeto, però, che l’intervento non ha raggiunto lo scopo prefisso in quanto, se è vero che il 75% delle cause che vedono coinvolti gli enti locali sono inferiori ai 20mila euro, è altrettanto indubbio che, per perseguire un’ottica deflattiva, si rischierebbe un ingolfamento e un eccessivo rallentamento nell’attività organizzativa di tali enti. Ciò in quanto è plausibile che questi ultimi non saranno pronti a far fronte ai vari contenziosi e a una situazione del genere per carenza di risorse interne. A mio parere, però, si sarebbe potuto raggiungere tale scopo, innalzando la soglia delle cause reclamabili da 20mila a 100mila euro, soltanto in tal modo, si sarebbe vista una significativa differenza rispetto alla pregressa disciplina. Una violazione dell’art. 111 Cost., rimasta irrisolta anche dopo l’ultimo intervento normativo, deriva dalla persistente mancata previsione di un organo effettivamente e assolutamente terzo e imparziale (come invece accade nel processo civile) al quale demandare la trattazione dell’istanza o, quantomeno, la sola eventuale fase di mediazione. Nell’attuale scenario normativo, è pertanto inevitabile scorgere una sovrapposizione tra l’istituto della mediazione e quello dell’autotutela, giacché in entrambi i casi l’autorità che dovrebbe valutare il provvedimento è la stessa che lo ha emesso. Ci dovrebbe essere, invece, almeno una parte terza che possa valutare con la debita distanza rispetto alla parte interessata. Per quanto riguarda la conciliazione, grazie alle modifiche normative, l’istituto risulta avere più appeal, prevedendo: l’estensione dell’applicazione dell’istituto al giudizio di appello (art. 48 bis, d.lgs. 546 del 1992); l’introduzione di nuove norme per il pagamento delle somme dovute; la rimodulazione dei benefici sanzionatori in funzione del momento in cui avviene la chiusura della controversia (l’art. 48 ter, d.lgs. 546 del 1992 prevede che le sanzioni amministrative si applichino nella misura del 40% del minimo previsto dalla legge in caso di perfezionamento della conciliazione nel corso del giudizio di primo grado; nella misura del 50% del minimo previsto dalla legge in caso di perfezionamento nel corso del secondo grado di giudizio). Prima che venisse approvato il decreto, il disegno di legge originario prevedeva la possibilità di proporre la conciliazione anche in Cassazione. Taluni hanno manifestato diverse perplessità perché la proposizione di tale strumento sarebbe incompatibile con la natura di legittimità e non di merito del giudizio in cassazione. A mio avviso, tali incertezze interpretative potrebbero essere risolte limitando la proposizione della conciliazione in Cassazione soltanto in caso di violazioni di legge e vizi interpretativi a livello giurisprudenziale. In tal modo, si garantirebbe maggiore snellezza ai giudizi pendenti in cassazione. Da ultimo, il legislatore ha innalzato a 3mila euro il limite entro il quale le parti possono stare in giudizio personalmente (prima la soglia era di 2.580 euro). A mio avviso, anche in tal caso, la riforma non ha raggiunto l’intento auspicato, in quanto l’aumento è stato veramente irrisorio e saranno probabilmente incardinati più contenziosi, in quanto nelle suddette controversie si potrà non ricorrere all’assistenza dei difensori, essendo i contribuenti dispensati dal pagamento delle spese legali. Il decreto legislativo n. 156/2015 ha altresì inserito tra i soggetti abilitati all’assistenza tecnica i dipendenti dei centri di assistenza fiscale (Caf) e delle relative società di servizi, limitatamente alle controversie dei propri assistiti originate da adempimenti per i quali il Caf ha prestato loro assistenza. Tuttavia, per esercitare la difesa tecnica essi devono essere in possesso congiuntamente:  del diploma di laurea magistrale in giurisprudenza o in economia ed equipollenti, o del diploma di ragioneria, e della relativa abilitazione professionale. Insomma, ritengo pertanto si tratti di un timido tentativo di riforma che in concreto però non ha prodotto gli effetti tanto auspicati.
sutti L’esperienza comparatistica in senso storico e internazionale ci mostra come la vigenza di regole oggi duramente criticate non impedisca alla giustizia civile di essere molto più veloce di quella della realtà italiana contemporanea. Nel frattempo, la società è certo diventata più complicata e ricca, ma questo non giustifica il fatto di accettare un degrado della giurisdizione di legittimità, a differenza di altri paesi europei, come per esempio la Francia o il Belgio, dove tra l’altro gli avvocati di Cassazione sono in numero molto limitato, relativamente costosi e rigidamente selezionati, e nondimeno adeguati alla fisiologica domanda dei relativi mercati per i loro servizi, che non è drogata dal basso costo e basso rischio per impugnazioni dilatorie o di difficile accoglimento, anche e proprio per la politica in materia di spese legali accordate alla parte vittoriosa. Il legislatore per una volta su questo piano ha in parte tentato di combattere tendenze schizofreniche nella politica della corte, che pur ricercando una deflazione talora anche odiosa dei procedimenti, non solo è sempre stata riluttante a condannare ex art. 96 la parte soccombente, ma era sin troppo incline a compensare anche spese già liquidabili in una misura relativamente simbolica. Questo si accoppiava naturalmente a una situazione in cui, in base a una visione pseudoliberista, si è ricercato un abbattimento selvaggio dei costi di mercato degli avvocati spalancando le porte a chi volesse fare questa professione e abolendo le logiche corporative che tendevano a tenere i prezzi artificialmente alti, sull’onda comunque di quello che era già un trend di mercato che tendeva ad abbattere i costi di difesa e il relativo effetto deflattivo sul contenzioso civile. Oggi siamo invece di fronte a una formula sin troppo rigida in cui il giudice sarebbe obbligato, ogni qual volta non vi sia una soccombenza reciproca, a condannare necessariamente la parte perdente alle spese; ma in Italia (a differenza dell’Inghilterra o altri paesi) non si liquidano queste spese sulla base della fattura del costo reale sostenuto dal cliente, bensì in base a una serie di parametri, stabiliti dal ministero non tenendo conto la logica di mercato cui tanto incenso viene bruciato.
romano Ritengo che uno dei problemi principali sia ancora a livello universitario e di pratica forense. All’estero si insegna il «legal writing». Nel nostro Paese invece tale tipo di formazione ancora scarseggia e questo rappresenta una grandissima carenza strutturale. Bisogna ritornare ad avere sentenze più brevi e di più facile comprensione. La mancanza di sintesi genera complicazioni e difficoltà interpretative.
giebelmann Riporto un ulteriore esempio confrontando la Germania, dove tutti i giuristi seguono lo stesso iter che ha termine con un esame finale, e successivamente si decide se la carriera da giurista debba proseguire come avvocato o come magistrato.
romano L’uniformità è anche un’esigenza del cliente.
Nel caso, per esempio, delle banche è fondamentale che alle problematiche giuridiche venga data la stessa impostazione da parte dei professionisti che le assistono. È infatti assolutamente da evitare che lo stesso cliente sostenga teorie diverse in circostanze analoghe per evitare problemi reputazionali e di credibilità. C’è necessità di effettiva uniformità e, secondo me, con l’informatica questo passaggio sta avvenendo. Il problema è che a livello legislativo i tentativi di andare in una direzione di semplificazione non hanno sempre avuto riscontro.
ciani Ci lamentiamo della qualità dei nostri interlocutori e dei relativi decisum, non della nostra controparte. Il riferimento è al giudicante, il quale non sempre ha la preparazione e la qualità che richiedono certi contenziosi. Sui contenziosi fiscali di Milano si possono fare due manovre per i volumi di contenziosi. Il magistrato, lo stesso dicasi per gli avvocati, a volte non possiede un percorso professionale adeguato e proporzionato rispetto alle vicende di grande sensibilità giuridica che deve affrontare, le quali molto spesso si incrociano con l’internazionale o con altre tematiche che stanno al confine del tributario. È quindi chiaro che vi è uno sbilanciamento di idee, di studio, di professionalità. Una delle riforme più importanti sarebbe portare la magistratura tributaria nel suo vero alveo naturale ovvero nei tribunali. L’assegnazione di certi fascicoli non può essere affidata al caso o alla discrezione. All’interno di certe commissioni, in particolare quelle che hanno una organizzazione geografica sensibile rispetto certi temi come quello dell’evasione internazionale avvertito maggiormente al Nord, ci devono essere delle sezioni specializzate e formate.
giebelmann In Germania non ci sono le commissioni tributarie ma una magistratura tributaria composta solo di giudici togati, che si dedicano esclusivamente a questa materia. Credo che il settore della fiscalità internazionale, di cui si è trattato precedentemente, necessiti con urgenza di essere uniformato anche nei suoi aspetti processuali.
ciani Il nostro processo fiscale a differenza di quello civile, è veloce. Il primo e secondo grado hanno tempi accettabili, tendenzialmente con una cautelare di mezzo, in un anno si arriva a una sentenza di primo grado. Il problema è la Cassazione dove si concentra un grosso carico di lavoro. Nella riforma vi è la proposta di una sezione tributaria bis in Cassazione.
di luciano Occorre riorganizzare strutturalmente e professionalmente la giustizia tributaria, che deve godere di una propria autonomia e dignità rispetto alla magistratura ordinaria, amministrativa e contabile, e, nel rispetto scrupoloso degli articoli 102, secondo comma, 106, 108 e 111 della Costituzione, le nomine dei giudici devono avere luogo solo con apposito concorso. Soltanto in tal modo, trattandosi di una materia molto tecnica e specialistica, verrebbe maggiormente garantita l’adeguatezza e la precisione nell’analisi delle varie controversie.
marone Ritengo che fino a quando non si riuscirà a garantire maggiore produttività dal sistema giudiziario anche attraverso l’aumento delle risorse destinate alla giustizia, continueremo a discutere proposte di riforma senza trovare una valida soluzione al problema. Inoltre troppo spesso le proposte di riforma sembrano redatte in sede ministeriale senza un fattivo contributo da parte della classe forense i cui membri sono gli unici a convivere tutti i giorni con i problemi della giustizia. Si veda per esempio la riforma che ha previsto l’introduzione del processo sommario di cognizione il quale doveva essere risolutivo per risolvere il problema della durata dei processi. In realtà ha avuto scarsa applicazione e la proposta di riforma di cui stiamo parlando sembra voglia abolirlo.

Che cosa pensate del tema dell’assunzione di prove dal punto di vista documentale?
romano La testimonianza scritta ha sicuramente senso nel caso in cui sia difficile far venire un testimone in udienza (per esempio perché si trova all’estero). Tale mezzo di prova deve tuttavia essere utilizzato con una certa discrezione: a mio parere, infatti, l’immediatezza di un contraddittorio e della prova orale sono insostituibili nel creare il convincimento del giudice. A prescindere  da come i testi siano stati preparati, la prova testimoninale rimane fondamentale.
giebelmann La Germania ha sicuramente una durata dei processi notevolmente inferiore: i tre gradi sino alla Cassazione richiedono al massimo tre anni. Però da noi il procedimento civile normalmente viene seguito dall’inizio alla fine del grado dallo stesso magistrato ed è raro che assuma le prove, in quanto parte dal presupposto che quanto offerto nell’atto di citazione e nelle comparse oltre all’atto di costituzione sia sufficiente ai fini del decidere. Solo se il giudice è molto perplesso e incerto si propone di ascoltare i testimoni. In definitiva, posso dire che ogni controversia va considerata come suscettibile di essere decisa nell’immediatezza.
sutti In Italia ormai formiamo la prova in gran parte fuori dal processo, cosa che presenta i suoi inconvenienti, mentre facciamo ancora nel processo tutta quella trattazione della causa che, secondo il progetto di riforma della commissione Vaccarella, avrebbe dovuto avvenire interamente fuori dalle aule di giustizia, con le parti che discutono quanto tempo desiderano senza occupare giudici e cancellieri. Quello che davvero varrebbe la pena di fare nel processo non è lo scambio di scritti tra avvocati ma avere l’opportunità di verificare e discutere direttamente e in contraddittorio testimonianze, perizie e documenti.
giebelmann In conclusione, ritengo che la riforma non abbia apportato alcuno snellimento alle norme di procedura. Servirebbe una riforma scritta da avvocati che devono affrontare le difficoltà quotidiane.
romano Il processo del lavoro, che ha delle applicazioni difformi nei tribunali in giro per l’Italia, tutto sommato, è un sistema processuale che ha dimostrato di funzionare abbastanza bene. È chiaro che però se lo stesso rito fosse applicato al processo civile, sarebbero necessari degli adattamenti per renderlo adeguato a esigenze diverse.
marone Sono d’accordo nel sostenere che il rito del lavoro potrebbe essere una soluzione. Però come avvocato processualista sarei contrario ad abolire le memorie previste dall’art. 183 c.p.c. che, pur allungando di circa 80 giorni il processo, in molti casi permettono di esercitare compiutamente il diritto di difesa e di focalizzare il tema da sottoporre alla decisione del giudice.
I tempi di durata del nostro processo sono dilatati enormemente dall’assunzione delle prove testimoniali che, dovendo avvenire davanti al magistrato, richiede un enorme dispendio di tempo. La soluzione potrebbe consistere nello spostare l’assunzione della prova testimoniale fuori dal tribunale, seppur in contraddittorio tra le parti.

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