Ultima sfida per le banche

Banche e professionisti decisivi per la crescita e l’internazionalizzazione delle imprese. Da un lato, l’istituto di credito deve essere in grado di accompagnare l’imprenditore all’estero, seguendo tutti i passaggi dell’investimento e supportandolo nella comprensione e gestione dei rischi relativi al mercato e al settore di riferimento. Dall’altro, i professionisti devono fare network per assistere il cliente a 360° nei suoi investimenti. In questa intervista doppia, Le Fonti Legal ha messo a confronto due professionalità centrali in questo processo: avvocato e private banker. Con Andrea Novarese, partner di Latham & Watkins esperto di banking&finance, e Antonella Massari, presidente dell’Associazione italiana private banker, abbiamo fatto il punto sull’attuale momento che sta vivendo il settore bancario, sulle prossime sfide che lo attendono e sulle ripercussioni sul sistema imprese.

Antonella Massari, oggi le banche hanno esigenza di reperire fondi a lungo termine. In che modo impatterà sull’attività del private banker?
Antonella Massari. Il private banker dovrà puntare maggiormente su forme alternative di finanziamento per il cliente. Ad ogni modo, la riduzione del credito non è chiaro se sia dovuta all’offerta che si restringe o alla domanda che non c’è. È indubbio che il ciclo economico non sia in fase positiva, e può far pensare a una domanda di credito bassa. In questo contesto, la funzione del private banker è di rassicurare i clienti facendoli ragionare su orizzonti di lungo periodo. In questo senso, il lavoro è facilitato dal fatto che spesso i clienti dei private banker non hanno bisogno di liquidare il portafoglio, come potrebbe essere per il cliente di tipo retail. Quindi l’impatto, anche emotivo, è minore.

In che modo il private banker può facilitare l’utilizzo di forme alternative di finanziamento da parte delle imprese e quali le strade percorribili?
Antonella Massari. Riguardo alle forme di finanziamento, il vantaggio del banker è di essere a contatto con la parte corporate interna all’istituto bancario, e quindi con le diverse possibilità di finanziamento di natura bancaria. Essendo poi a contatto anche con le società di gestione del risparmio, conosce i vari prodotti finanziari che possono essere interessanti o meno come finanziamento diretto all’impresa. Si tratta di tutto un mondo dove il banker deve essere più esposto. Al momento, le forme di finanziamento alternative hanno un peso molto basso, lo 0,3% in media, considerando che siamo un’economia sviluppata. In generale, l’attenzione va posta su prodotti di durata molto lunga da inserire in portafogli grandi, in grado di supportarli, per la diversificazione del rischio. Sarebbe auspicabile passare dallo 0,3 al 3% riguardo al peso delle attività finanziarie che supportano l’economia, anche se poi bisogna verificare come rendere attrattivo l’investimento nell’economia reale italiana. In questo senso, i miglioramenti delle governance delle pmi sono condizioni necessarie per rendere sostenibile l’investimento.

Qual è il ruolo del private banker nello sviluppo dell’attività dell’imprenditore e quindi della piccola e media impresa?
Antonella Massari. L’interesse verso il cliente private imprenditore è evidente perché gli istituti che si vogliono caratterizzare come servizio private stanno cercando di attivare questo tipo di relazione. Ci sono infatti le realtà che hanno sempre avuto la divisione di corporate banking, altre che nascono come banche di investimento e che stanno cercando di rifocalizzarsi. Inoltre, secondo i dati raccolti dal nostro osservatorio, il 20 per cento del peso dei clienti private è formato da imprenditori. Il private banker ha il vantaggio di essere in rapporto prima di tutto con la famiglia e quindi con la gestione del patrimonio familiare. Se consideriamo che l’85% delle piccole e medie imprese italiane sono familiari, vediamo come il private banker spesso si trova in contatto anche con il patrimonio di impresa. Si tratta perlopiù di piccole realtà, che però hanno spesso dimostrato di essere in grado di stare su mercati domestici e soprattutto internazionali. In generale, per mantenere il vantaggio competitivo, sono decisivi la capacità di investimento di medio lungo periodo e la governance, importante per competere in mercati dove si sono altri player con sistemi magari più avanzati. La figura del banker, in questo senso, è cruciale perché è il primo che potrebbe cogliere questi bisogni, essendo a contatto con l’imprenditore in modo continuativo. Oggi i banker devono formarsi in modo da riuscire a parlare con gli imprenditori sia rispetto alle varie tipologie di governance sia in relazione alle forme di finanziamento. Inoltre, deve saper individuare le specializzazioni giuste, dando all’imprenditore una serie di piste alternative da seguire.

Quale il supporto del private banker rispetto all’internazionalizzazione dell’impresa?
Antonella Massari. Nel supporto dell’imprenditore che decide di andare all’estero, il banker ha il compito di fare un double check rispetto alle informazioni già raccolte e in questo senso è utile avere un network di professionisti cui appoggiarsi. Se il professionista fa parte di una struttura che ha al suo interno un dipartimento di corporate finance o di finanziamento alle esportazioni come tante banche generaliste hanno, tutto questo è sicuramente facilitato. OItretutto, in Italia sono diversi gli istituti con una presenza all’estero. All’interno del network, il banker è il pivot, conosce il patrimonio familiare e l’asset allocation e, rispetto a chi fa corporate finance, segue il cliente per la vita.

Le banche si trovano oggi di fronte alla sfida tecnologica. Come la stanno affrontando e quali le ripercussioni sul lavoro del private banker?
Antonella Massari. Il banker deve familiarizzare con gli strumenti digitali e utilizzarli a suo beneficio, guadagnando tempo di lavoro. È importante anzitutto avere alle spalle istituti che mettano a disposizioni gli strumenti tecnologici e su questo punto si giocherà il vantaggio competitivo di un player rispetto a un altro. Si riproporrà quanto già accaduto con l’internet banking, con gli istituti che hanno costruito i migliori portali online che hanno attirato giovani tra i propri clienti. Il processo sarà simile anche se, devo dire, non si sta affermando con grande rapidità. L’intelligenza artificiale cambierà il modo di lavorare e sarà a favore della clientela, che aumenta il suo potere conoscitivo e le aspettative di servizio. Il settore finanziario, però, ha una caratteristica in più, il rapporto umano che è indispensabile anche con l’utilizzo di strumenti nuovi. In questo senso, per il banker diventa sempre più importante aggiornarsi e informarsi in modo continuo e sempre meno specialistico.

Andrea Novarese, gli ultimi dati sui bond bancari evidenziano, tra l’altro, un problema di accesso al mercato dei capitali da parte delle banche. Cosa ne pensa e quali effetti prevede?
Andrea Novarese. In merito alla difficoltà di accesso al mercato dei capitali da parte delle banche, la Banca centrale europea ha annunciato che sta considerando una nuova manovra T-Ltro, abbassando in territorio negativo il costo del funding e risolvendo in partenza il problema. Il mercato dei capitali come mercato di riferimento è stato quindi sterilizzato dalla Bce, per ancora uno-due anni. È difficile dare un quadro del settore perché il mercato dei capitali è per sua natura opportunistico, e dove c’è opportunità di raccolta, le banche rispondono. In un contesto economico e politico non stabile, è forte la necessità, per il settore bancario, di affrontare l’impegno di un rinnovo strutturale.

Si avvicina la scadenza delle quattro aste di rifinanziamento T-Ltro e le banche hanno quindi esigenza di reperire fondi a lungo termine. Quali le possibili modalità alternative di reperimento dei fondi?
Andrea Novarese. Se pensiamo a modalità alternative di reperimento dei fondi rispetto al mercato dei bond bancari, sono  due gli strumenti cui credo le banche si indirizzeranno: da una parte la raccolta retail strutturata sulla base dei conti deposito con vincoli temporali e una remunerazione gradita alla clientela che possiede grandi patrimoni, con un approccio simile a un prodotto di “wealth management”; dall’altra, la dismissione dei crediti deteriorati, operazioni molti più mirate che si accompagnano alle dismissioni di portafogli di NPL. Parliamo di portafogli di più piccole dimensioni, single name, costruiti in modo omogeneo per natura del credito, tipologia di attività caratteristica del debitore sottostante o tipologia di beni su cui son state accese le garanzie reali. Si tratta di operazioni destinate ad operatori specializzati, che possano guardare sia alla tipologia del credito sia alla natura del soggetto, i quali hanno strategie di utilizzo dei crediti nell’ ambito di piattaforme operanti in i vari settori industriali.

Quali le opportunità che possono derivare dalla dismissione dei crediti deteriorati?
Andrea Novarese. Dal nostro punto di vista, gli Utp rimangono una grande opportunità per le banche per la gestione interna a condizione che si strutturino per la loro gestione anche attraverso partnership con i suddetti operatori specializzati, in quanto il mercato gradisce la costruzione di portafogli e crediti Utp che per loro natura sono particolarmente attraenti, secondo logiche industriali e non solo di trading. La questione dei crediti deteriorati è fortemente collegata all’impegno delle banche a sostenere alcuni settori chiave dell’industria manifatturiera italiana. Le banche, nel momento in cui valutano negativamente un certo credito, devono tenere presente che nessuna impresa è avulsa dal sistema produttivo in cui è inserita: più grande è l’impresa, maggiore è l’impatto, ma anche il venir meno di una piccola azienda può creare problemi a una grande industria a questa collegata.

In che modo le banche possono sostenere lo sviluppo delle imprese?
Andrea Novarese. Per le banche oggi è importante accompagnare l’imprenditore nella sua crescita anche in termini di mercato di riferimento. Pensiamo per esempio alle numerose aziende italiane che esportano e in un mondo competitivo come quello odierno non si può prescindere dal seguire tutti i passaggi dell’investimento. Questo significa che la banca debba sempre di più essere in grado di valutare il cliente nella sua interezza, aiutandolo a comprendere i rischi legati alle sue attività e ai mercati in cui si sta muovendo, oltreché offrendo un portafoglio di servizi di credito all’esportazione e allo sviluppo che sia competitivo e adeguato.

Quale il ruolo dell’avvocato in questo processo?
Andrea Novarese. In questo contesto, anche il ruolo dell’avvocato diviene sempre più specialistico, in quanto non basta conoscere l’attività del cliente nello specifico, ma è necessario sapere le regole di accesso a determinati mercati. Lo studio legale moderno deve fare delle scelte elettive dal punto di vista della tipologia del cliente, dell’industria e del prodotto che conosce meglio, per poterlo affiancare sia dal punto di vista dell’industria di riferimento sia in ambito geografico. È importante avere la capacità di consigliare il cliente in modo preventivo rispetto ai rischi legali legati all’operazione, alla geografia e ai settori.

Le banche si trovano oggi di fronte alla grande sfida tecnologica. Quali effetti avrà sul sistema bancario?
Andrea Novarese. Il rinnovamento tecnologico per le banche rappresenta una grande sfida, per rispondere a un mercato sempre più esigente, per andare incontro alla necessità di una sempre maggiore sofisticazione del servizio bancario e della gestione del rapporto con la clientela. Non parlo solo dell’informatizzazione e dell’information technology in senso lato, ma di nuovi elementi che entrano in gioco: pensiamo all’intelligenza artificiale, che promette di portare a un ulteriore cambiamento nel mercato bancario.

In che termini?
Andrea Novarese. Il vero tema strategico, oggi, rimane il consolidamento: comprendere quante e quali banche di una certa dimensione possano assorbire piccole realtà nazionali, e quanto tempo sarà necessario per la fine del processo di consolidamento da parte delle banche regionali più importanti. Osserviamo con interesse i processi di consolidamento per capire quali realtà saranno aggreganti Le realtà bancarie locali dovranno giocoforza “allearsi” per partecipare alle grandi operazioni di sistema avendo la giusta massa critica per entrare nelle operazioni più grandi e redditizie. Diversamente, sono destinate a essere marginalizzate.

A cura di Gabriele Ventura

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