Il labour fa ricchi gli studi

Boom di operazioni labour nel 2018: dalle riorganizzazioni aziendali, ai licenziamenti di top manager, fino ai progetti di welfare aziendale. In cima al ranking di Le Fonti Legal LabLaw, seguito da Toffoletto e soci e da Grimaldi studio legale.

Un 2018 da record per il mercato del lavoro. Gli studi legali specializzati hanno infatti seguito anche altre 50 operazioni nei primi dieci mesi dell’anno, tra consulenze per riorganizzazioni aziendali, trattative sindacali, ricorsi per licenziamenti di top manager, ridefinizione dei contratti integrativi aziendali, ma anche consulenza nell’adeguamento al nuovo regolamento privacy e nei progetti di welfare aziendale. E il futuro promette ancora più impegno per i giuslavoristi.

Le novità introdotte dal decreto Dignità in materia di lavoro, infatti, stanno occupando gli avvocati del settore nella risoluzione delle criticità aperte dalle nuove norme sui contratti di lavoro, con gli imprenditori che brancolano nel buio. Tra i principali nodi da sciogliere: l’applicabilità o meno ai rinnovi e alle proroghe dei contratti a termine della nuova disciplina, con il periodo transitorio che si è chiuso il 31 ottobre scorso, e il difficile utilizzo delle causali per i contratti a termine.

Tra gli studi legali più impegnati in questi primi 10 mesi troviamo al primo posto LabLaw, che ha chiuso 57 operazioni da gennaio a oggi, che rappresentano quasi il 30 per cento del mercato.

Tra i deal principali: la consulenza giudiziale a favore di Tecnologie Diesel, le riorganizzazioni di Sisecam Flat Glass South Italy e di CheBanca!, le relazioni industriali e sindacali di Capri Servizi, società controllata dal comune di Capri, ma anche Eos Investment Management nell’operazione straordinaria, le relazioni sindacali di Banca Popolare del Lazio per il contratto integrativo Cia, le consulenze giudiziali ad Adecco, Ikea e a Marco Fassone, ex ad Ac Milan. A seguire, Toffoletto e soci che, tra le numerose operazioni chiuse ha seguito Recordati nella realizzazione dei piani per consentire al top management di partecipare all’investimento del fondo di private equity Cvc che ha acquisito la società, avvalendosi della consulenza dello studio Gattai Minoli Agostinelli & partner. Ma anche Technogym nella definizione dei contenuti e nella negoziazione sindacale del rinnovo del contratto integrativo aziendale per ottenere il risultato migliore possibile per i suoi dipendenti, con particolare riferimento alla disciplina del premio di risultato e di altri aspetti rilevanti di disciplina delle relazioni industriali, Allianz in occasione del rinnovo del proprio Cia per la strutturazione di un premio di risultato variabile.

Chiude il podio Grimaldi studio legale, che, tra le principali operazioni, ha assistito l’ex amministratore delegato di British Telecom Italia, Gianluca Cimini, nella controversia conseguente al suo allontanamento dall’azienda nell’autunno del 2016 per motivi disciplinari. Il Tribunale di Milano ha condannato l’azienda a risarcire il suo ex numero uno per circa 1,8 milioni di euro. Lo studio Grimaldi ha seguito inoltre Vinyloop Ferrara dapprima nella procedura di licenziamento collettivo relativa all’intera popolazione aziendale avviata in ragione della cessazione dell’attività produttiva e successivamente, nel corso della stessa, nel perfezionamento del trasferimento dell’azienda ad un acquirente. Importanti anche le operazioni Stefanel (procedura sindacale di licenziamento collettivo) e Boglioli (procedura di licenziamento collettivo attivata nell’ambito di un piano di rilancio del Gruppo a seguito della sua acquisizione da parte del Fondo spagnolo Fund Phi Industrial).

Secondo Francesco Rotondi, managing partner di LabLaw, con l’emanazione del decreto Dignità «occorre necessariamente un ripensamento delle organizzazioni aziendali e del lavoro che dovrà tenere conto dei vincoli diversi e stringenti posti al contratto a termine e alla somministrazione. Fino ad oggi si era pensato fossero strumenti di flessibilità in linea con il dettato normativo che offriva ampia possibilità di impiego con prospettiva di gestione del mercato senza particolari criticità». «Una delle principali richieste di chiarimento da parte delle imprese», continua Rotondi, «riguarda l’applicabilità o meno ai rinnovi e alle proroghe dei contratti a termine della nuova disciplina prevista dal decreto dignità. Infatti, la legge di conversione ha introdotto un regime transitorio delle nuove norme, disponendone l’applicazione “ai rinnovi e alle proroghe contrattuali successivi al 31 ottobre 2018”. Tale previsione, tuttavia, ha posto non pochi problemi interpretativi. Secondo la maggior parte dei commentatori infatti, ci troveremmo ora di fronte a quattro diversi regimi: ai contratti stipulati entro il 13 luglio 2018, prima dell’entrata in vigore del n. 87/2018, si applicherebbe il D.lgs. 81/2015 nella sua versione originaria; ai contratti stipulati tra il 14 luglio e l’11 agosto 2018 si applicherebbero le disposizioni contenute nel D.L. n. 87/2018, fatta eccezione di quelle che sono intervenute, a partire dal 12 agosto, con la legge n. 96/2018; ai contratti rinnovati o prorogati tra il 12 agosto ed il 31 ottobre 2018, si applicherebbe il regime transitorio, sulla base del quale i contratti già in corso alla data del 14 luglio possono essere prorogati o rinnovati, entro il 31 ottobre 2018, seguendo le vecchie regole, infine dal 1° novembre 2018, tutti i nuovi contratti, nonché le proroghe e ai rinnovi di quelli sorti in precedenza, saranno interamente soggetti alla disciplina del decreto».

Franco Toffoletto, managing partner di Toffoletto e soci sottolinea come le nuove norma pongano «innumerevoli dubbi interpretativi, creando notevoli difficoltà alle aziende. Ulteriore complicazione deriva dal fatto che le norme sono intervenute nel corso dell’anno. Molto confusa la norma transitoria che ne ha differito l’efficacia al 1° novembre». Per quanto riguarda invece gli effetti della sentenza della Corte Costituzionale che ha bocciato il meccanismo di calcolo automatico dell’indennità spettante al lavoratore in caso di licenziamento illegittimo, previsto dal Jobs act, a parere di Toffoletto «determinerà la totale incertezza nella determinazione dell’indennità in caso di licenziamento illegittimo che invece, fino ad oggi, era agevolmente predeterminabile in base all’anzianità. Ciò disincentiva le nuove assunzioni, e rende difficile il raggiungimento di accordi transattivi, con un inevitabile e consistente incremento del contenzioso che, invece, ad oggi, era praticamente inesistente».

Angelo Zambelli e Alberto Testi di Grimaldi studio legale affermano invece che «l’aspetto più critico che caratterizza in generale la legislazione giuslavoristica, tanto più negli ultimi anni, è rappresentato dall’eccessiva frammentarietà degli interventi. La tecnica legislativa maggiormente utilizzata, infatti, è quella di apportare continue modifiche e interpolazioni alle norme esistenti, determinando problemi interpretativi e applicativi nella materia del diritto del lavoro. I clienti hanno chiesto chiarimenti e pareri soprattutto con riferimento alla nuova disciplina del contratto a termine e, in particolare, al regime transitorio relativo alle proroghe e ai rinnovi conseguito alla promulgazione dapprima del decreto Dignità e, successivamente, della legge di conversione 96/2018».

Olimpio Stucchi di Uniolex ritiene che, rispetto al decreto Dignità, «gli aspetti critici per le imprese concernono soprattutto l’ennesima riforma del contratto di lavoro a tempo determinato, che segna un arretramento di oltre 20 anni. Su tutti direi che i maggiori problemi sono due e riguardano: la riduzione da 36 a 12 mesi della durata massima del contratto di lavoro a termine acausale e la re-introduzione dell’obbligo della sussistenza di specifiche e limitate causali, soggette a contrastanti interpretazioni in sede di applicazione pratica, per poter estendere l’impiego a termine del medesimo lavoratore fino ad un periodo complessivo di 24 mesi. A parte la causale correlata alla sostituzione del lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto di lavoro, è del tutto prevedibile che, salvo casi eccezionali, risulterà piuttosto aleatoria la identificazione dei confini e ambiti applicativi delle altre ipotesi in cui si potrà ricorrere al contratto di lavoro a tempo determinato. E ciò non potrà che generare tutto quel contenzioso che, con le ultime riforme del contratto di lavoro a termine, era sostanzialmente sparito dalle aule dei tribunali».

Enrico Del Guerra di Pavia e Ansaldo, afferma che «le imprese si erano abituate a programmare l’inserimento di nuove risorse utilizzando il contratto a tempo determinato pur affrontando un costo maggiore ma usufruendo della massima elasticità. Ciò permetteva, in un periodo piuttosto lungo, di verificare non solo le capacità del neoassunto ma anche la possibilità di un suo stabile inserimento nella organizzazione aziendale. Il periodo di un anno è ritenuto troppo breve dall’imprenditore. Pochi saranno i contratti che, al termine del primo periodo di un anno, sottoscritti senza indicare una causale, dopo il 31 ottobre 2018, una volta trascorso il periodo transitorio, verranno trasformati a tempo indeterminato».

Massimo Dramis, di Dramis Ammirati, sottolinea invece come «gli aspetti di maggiore criticità attengono principalmente alla reintroduzione delle causali nei contratti a tempo determinato e nei contratti di somministrazione a tempo determinato, soprattutto nei casi in cui il precedente rapporto oggetto di proroga o di rinnovo è acausale».

Giovanni De Donno, dello studio De Donno Avvocati Giuslavoristi, osserva che «le imprese hanno incentrato le loro richieste sulle modifiche apportate all’istituto del contratto a termine, ed in particolare sono state avanzate richieste di chiarimenti su proroghe e rinnovi, stop & go e rapporti tra somministrazione e contratti a termine». Riguardo gli effetti della sentenza della Consulta, per De Donno comporterà «l’impossibilità di determinare i “costi” di una eventuale dichiarazione di illegittimità del licenziamento intimato. Tralasciando ipotesi residuali legate a motivi discriminatori o di insussistenza del fatto, fino a ieri, era sufficiente considerare due mensilità per ogni anno di anzianità con un minimo di sei mensilità. Oggi invece, il rischio di causa dell’azienda va da un minimo di sei ad un massimo di 36 mensilità per un lavoratore che ha iniziato a lavorare da poco».

Gianluca Crespi di Elexia afferma che «l’entrata in vigore del decreto Dignità e le modifiche apportate alla normativa in materia di contratto a termine e somministrazione, purtroppo, hanno ridotto sensibilmente la flessibilità organizzativa delle aziende e hanno reintrodotto ragioni di contenzioso ormai superate da anni. Ritengo che quanto sopra non soltanto non sarà compensato da una maggiore stabilità dei rapporti di lavoro ma, anzi, rischia di produrre l’effetto esattamente contrario, poiché le aziende potrebbero essere più portate a ricorrere ad un turn over di lavoratori a termine piuttosto che definire causali di rinnovo o proroga per i lavoratori già in servizio che potrebbero essere poi contestate in giudizio».

Secondo Francesco Amendolito di Amendolito & associati «il metodo legislativo di modificare a colpi di accetta la precedente e recente riforma giuslavoristica non serve a molto. Rischia, invece, di danneggiare una promettente ripresa dei livelli di occupazione e dell’attività economica conseguenti alle precedenti riforme del lavoro. È proprio questo che spaventa le imprese».

A parere di Massimo Waschke di Fdl studio legale e tributario «le aziende chiedono chiarimenti riguardo al rinnovo o alla proroga del contratto. Con il Decreto Dignità, il rinnovo non può mai essere acausale, anche se previsto per un periodo inferiore a 12 mesi; la proroga, invece, può essere acausale nei primi 12 mesi di rapporto. Occorre particolare attenzione, poi, riguardo ai rinnovi ed alle proroghe, in quanto il Decreto dignità si applica non solo ai contratti di nuova stipulazione, ma anche ai contratti già in essere».

Paola Mariani di DWF ritiene che le imprese siano «particolarmente interessate, ora come in passato, alla “flessibilità in uscita” e la principale richiesta è quello di fornire supporto professionale nella valutazione dei rischi e nella stima dei costi che il datore di lavoro deve tenere in considerazione in caso di necessaria uscita di una risorsa, così da poter valutare se ed entro che termini intraprendere un percorso conciliativo. Questa la principale richiesta di chiarimento, unitamente al supporto in fase di assunzione di risorse a tempo determinato, con contratto a termine o in somministrazione».

Lorenzo Cairo di Gattai Minoli Agostinelli & partner afferma che «le maggiori richieste di chiarimento sono relative ai nuovi contratti a termine. In primo luogo sulla disciplina transitoria: i contratti a termine in scadenza a cavallo tra la vecchia disciplina e l’entrata in vigore della nuova vengono percepiti come l’ultima opportunità di usufruire di una normativa più flessibile. Sono diverse le richieste di parere finalizzate a capire fino a che punto i contratti nati nella disciplina previgente possano essere prorogati o rinnovati».

A cura di Gabriele Ventura

 

 

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