Avvocata o avvocatessa? Ecco qual è il termine corretto da utilizzare

avvocata o avvocatessa

Quando si parla di nomi di professione, il problema della lingua si scontra inevitabilmente con elementi di carattere extralinguistico, che poco hanno quindi a che fare con semplici regole di grammatica. La presenza massiccia del maschile sovraesteso in ambito lavorativo non è più in linea con le esigenze della società attuale, che richiede una sempre più necessaria parità dei sessi in tutti gli ambiti.

Se utilizzare il termine “avvocato” per riferirsi ad una donna che esercita tale professione non è più auspicabile, rimane il dubbio su quale termine sia più corretto utilizzare tra avvocata o avvocatessa. Ecco cosa dice la lingua italiana.

Avvocata o avvocatessa: cosa dice la lingua italiana

Per declinare al femminile il termine “avvocato” il primo passo da fare é conoscere le regole grammaticali che nella lingua italiana consentono di effettuare tale operazione per qualunque sostantivo.

L’italiano è infatti una lingua che non possiede il genere neutro, per cui i suoi termini si possono declinare solo al maschile o al femminile. Non tutti i sostantivi sono declinabili, alcuni presentano la stessa forma al maschile e al femminile, mentre altri, tra cui il termine “avvocato”, differiscono sulla base del genere.

Applicando le regole grammaticali, quindi, il termine corretto da utilizzare è avvocata o avvocatessa? Le due forme sono in realtà entrambe corrette dal punto di vista della lingua, come riconosciuto dall’Accademia della Crusca.

Perché sarebbe meglio utilizzare il termine “avvocata”

Nonostante le forme “avvocata” e “avvocatessa” siano entrambe riconosciute in quanto grammaticalmente corrette, esse hanno una diversa valenza socio-culturale.

Per questo motivo, alcuni linguisti, tra cui la sociolinguista Vera Gheno, ritengono che sarebbe più opportuno utilizzare il termine avvocata ed abbandonare l’altra versione. Le ragioni sono, come già accennato, di natura culturale e risiedono nell’origine dei termini con declinazione in -essa.

Storicamente, termini come avvocatessa o presidentessa venivano utilizzati per designare “la moglie dell’avvocato” o “la moglie del presidente” e non una donna che attivamente esercitava la professione. Inoltre, “avvocatessa” è stato spesso usato come espressione di scherno, e quindi con valenza negativa, per riferirsi, ad esempio, ad una persona che difende con forza le opinioni altrui.

Secondo la Gheno sarebbe quindi meno discriminatorio utilizzare il termine “avvocata” per riferirsi ad una donna che esercita la professione, così da garantire una maggiore parità dei sessi senza rimandi a condizioni di subordinazione.

Come declinare i nomi di professione al femminile

I termini utilizzati, soprattutto quelli ad ampia diffusione popolare, riflettono le convinzioni culturali radicate all’interno di un ambiente. Per queste ragioni, l’utilizzo della declinazione al femminile dei nomi di professione riveste una notevole importanza nel cambiamento della percezione dei ruoli sociali.

Tuttavia, si possono generare dei dubbi sulle regole grammaticali da applicare per effettuare tale operazione. Ecco allora come procedere:

  • se il maschile termina in -o, il femminile terminerà in -a: avvocato e avvocata, ingegnere e ingegnera, magistrato e magistrata, capitano e capitana, etc
  • se il maschile termina in -iere, il femminile terminerà in -iera: corriere e corriera, cameriere e cameriera, etc
  • se il maschile termina il -tore, il femminile terminerà in -trice o -essa: attore e attrice, dottore e dottoressa, etc
  • se il maschile termina in -ista, il femminile rimarrà invariato: il/la giornalista, il/la dentista, etc

Ci sono poi anche eccezioni e forme irregolari, come i termini che rimangono invariati al maschile e al femminile senza che possano essere ricondotti a regole grammaticali, ad esempio il/la giudice o il/la presidente. In caso di dubbio, si può verificare la declinazione corretta utilizzando un vocabolario aggiornato.

Maschile sovraesteso: perché non andrebbe utilizzato

Come già accennato, l’utilizzo del maschile sovraesteso per i nomi di professione è grammaticalmente scorretto e il suo frequente utilizzo è riconducibile solamente ad una convenzione sociale che ormai non riflette più la realtà del tempo in cui viviamo. Le donne che svolgono una professione sono sempre di più e non è quindi necessario richiamare una consuetudine prodotta in un diverso contesto socio-culturale.

La lingua deve riflettere le esigenze del momento presente e oggi serve utilizzare entrambe le declinazioni dei nomi di professione, per riconoscere l’esistenza e il lavoro di donne professioniste.

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