Una normativa ancora da migliorare

Regole semplici per gli appalti e crescita esponenziale del whistleblowing. È quanto emerge dalla Relazione Annuale dell’Anac. Ecco il commento degli esperti sugli aspetti legali più significativi

Lo scorso 14 giugno, il Presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione (Anac), Raffaele Cantone, ha presentato a Palazzo Madama la Relazione sull’attività svolta nel 2017 dall’organismo. Molti sono stati i punti affrontati, alcuni dei quali di enorme importanza sotto il profilo legale. Tra questi, spiccano i contratti pubblici, nell’ambito dei quali, come sostiene lo stesso Cantone «non si va (ancora) nella direzione auspicata»; per quanto riguarda la materia degli appalti, Cantone esprime la necessità di «scelte chiare da parte del nuovo legislatore» e «regole semplici e comprensibili, ma anche stabili, per consentire alla burocrazia il tempo di digerirle per applicarle in modo corretto». Il Presidente dell’Anac non si dimostra, però, d’accordo con una completa retromarcia, poiché «rischierebbe di creare un’ulteriore fase di fibrillazione con una (nuova) crisi del settore». Dal punto di vista legale, di grande attualità è il tema del whistleblowing, che, come ha sottolineato Cantone, ha registrato una «crescita esponenziale».

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La stessa Autorità ne evidenzia, però, delle criticità sia in relazione alle segnalazioni, che vertono, in molti casi, su problematiche di carattere personale, sia in relazione alla scarsa tutela della riservatezza del segnalante che denuncia fatti di rilievo penale. Per andare a fondo sulle questioni legali emerse dalla Relazione e per comprendere cosa manca ancora per combattere efficacemente la corruzione, Le Fonti Legal ha intervistato due esperti: Alessandro Bonanni dello Studio Piselli & Partners e Armando Simbari di Dentons.

Quali sono gli aspetti più rilevanti della Relazione dal punto di vista legale? SIMBARI Un aspetto molto positivo che emerge dalla Relazione è il calo delle misure sanzionatorie per omessa adozione dei piani triennali di prevenzione della corruzione da parte delle Pubbliche amministrazioni. Come segnalato da Anac, su 241 istruttorie avviate, solo in 8 casi si è giunti all’applicazione delle sanzioni previste dall’art. 19 del d.l. 90/2014, segno del fatto che le Pubbliche amministrazioni e gli Enti pubblici in generale sono ormai estremamente sensibili al tema ed adottano tempestivamente piani di prevenzione del fenomeno corruttivo che vengono giudicati efficaci ed idonei a raggiungere lo scopo. Gli Enti pubblici valutano oggi in modo sistematico il diverso livello di esposizione degli uffici al rischio corruzione e sono attenti alla formazione del personale, collaborando a tal fine in maniera costante e profittevole con la Scuola superiore della pubblica amministrazione. Un po’ meno rassicurante è il dato sull’inconferibilità degli incarichi: nel 2017, l’Anac ha accertato e sanzionato 28 casi (su un totale di circa 200 istruttorie condotte) in cui l’Ente pubblico soggetto a controllo aveva conferito incarichi di vertice a soggetti condannati a titolo definitivo per reati contro la Pubblica amministrazione (in violazione dell’art. 3 d.lgs. 39/2013) ovvero a ex componenti della giunta o del consiglio regionale (così violando l’art. 7 dello stesso decreto). Da notare come, in questi casi, l’intervento sanzionatorio previsto dall’art. 18 del d.lgs. 39/2013 sia piuttosto invasivo: ai componenti degli organi che abbiano conferito gli incarichi successivamente dichiarati nulli è attribuita la responsabilità personale per le conseguenze economiche degli atti adottati ed è altresì previsto il divieto di con- ferire incarichi di loro competenza nei tre mesi successivi. BONANNI La relazione rappresenta, come di consueto, un resoconto puntuale delle attività a presidio della trasparenza e della legalità svolte dall’Autorità nell’anno trascorso. Nel presentare tale lavoro, il Presidente Cantone ha posto enfasi sul Piano Nazionale Anticorruzione adottato a novembre 2017, nel quale sono stati individuati i nuovi ambiti ai quali si rivolgono le attenzioni dell’Anac (come le autorità portuali e le università), e ha concesso uno “spoiler” sul Piano del prossimo anno, preannunciando alcuni dei settori che ne saranno interessati (rifiuti, immigrazione, agenzie fiscali). Desta interesse, per le implicazioni sul futuro ruolo che l’Autorità ambisce a ritagliarsi, la richiesta al Parlamento di un intervento regolatorio sul tema delle lobbies e delle fondazioni che si occupano di politica. Vanno salutati con favore i risultati del monitoraggio sul recepimento della normativa e sull’attuazione delle misure di prevenzione della corruzione da parte delle Pubbliche amministrazioni, da cui emerge come si vada affermando, analogamente a quanto sta avvenendo nella privacy a seguito del Gdpr, un approccio ispirato da logiche di accountability e responsabilizzazione, e non solo di tipo repressivo e sanzionatorio. Leggendo la Relazione, si nota come l’Anac abbia insistito sulla tematica degli indicatori del rischio corruttivo negli appalti, valorizzando particolarmente quelli di price overspending. A mio avviso occorre prudenza nell’adottare metodologie basate su indici presuntivi, che hanno il limite di non prendere in considerazione le singole specificità. Si dovrebbero ponderare più attentamente, invece, le criticità insite nelle basi d’asta sottostimate, che vanno a discapito della buona realizzazione della commessa e che richiamano, con la verifica di anomalia, l’esercizio di quella ampia discrezionalità tecnica in cui la stessa Anac ravvisa profili di rischio corruttivo.

Nella Relazione è stato segnalato l’aumento dell’utilizzo del whistleblowing. Quali fattori hanno determinato questo andamento e quale sarà il trend per il futuro? SIMBARI Credo che l’incremento del numero di segnalazioni sia da ricollegarsi alla recentissima legge n. 179 del 30 novembre 2017 (entrata in vigore il 29 dicembre 2017), che ha ampliato le tutele del whistleblower nel settore pubblico e nel settore privato. Gli studi di settore evidenziano che nel 2016 le segnalazioni di illeciti sono state 147 e che nel 2017 sono aumentate a 157. Un numero soddisfacente, anche se lontanissimo dalle cifre di altri Paesi come ad es. gli Stati Uniti, dove si segnalano oltre 4.000 segnalazioni l’anno. I numeri in Italia sarebbero certamente più elevati se la normativa non fosse lacunosa sotto alcuni profili come, ad esempio, quello della tutela della riservatezza del whistleblower. La legge attualmente in vigore stabilisce che se il whistleblower denuncia un fatto di cui viene a conoscenza l’Autorità Giudiziaria penale, la sua identità è coperta dal segreto nelle forme e nei limiti dell’art. 329 c.p.p., quindi soltanto fi no alla chiusura delle indagini. Ciò significa che, una volta che le indagini sono chiuse, l’identità del segnalante sarà comunque estrinsecata. Questo frena l’attivazione del sistema di denuncia e la conseguente emersione dei fenomeni illeciti. Un’altra critica all’istituto del whitleblowing (sia in ambito pubblico che in ambito privato) si lega all’assenza di qualsiasi beneficio premiale in favore del segnalante (carrot & stick approach). In altri Stati tale incentivo è previsto. Per esempio, negli Stati Uniti il whistleblower ha diritto, oltre al rimborso delle spese legali, ad una percentuale variabile tra il 10 e il 30 % della somma che il governo federale riesce a recuperare dal soggetto condannato, qualora la sanzione comminata superi un milione di dollari. BONANNI La figura del whistleblower ha trovato una prima forma di tutela nel nostro ordinamento con la L. 190/2012 e dunque non rappresenta ormai una novità assoluta. L’originaria formulazione della norma offriva un livello di protezione appena sufficiente al denunciante, ed era peraltro circoscritta solo ai dipendenti della pubblica amministrazione. Il recente intervento attuato con la L. 179/2017, nel riscrivere totalmente l’istituto, ha irrobustito il regime di tutela del dipendente, attribuendo all’Anac il ruolo di supervisionarne e garantirne l’effettiva applicazione. La novella ha per la prima volta disciplinato tale istituto nel settore privato, introducendo anche l’obbligo di prevedere canali riservati per la segnalazione delle condotte illecite nei modelli di organizzazione e gestione di cui al D.Lgs. 231/2001. Alla base dell’aumento dell’utilizzo del whistleblowing, pertanto, collocherei l’evoluzione del quadro normativo, unitamente al progresso culturale in atto nel nostro paese che, anche grazie ad Anac, sta cambiando la percezione del fenomeno corruttivo. Strumenti di prevenzione come il whistleblowing si sono infatti affiancati ad un approccio che, storicamente, era inteso solo a punire condotte già consumate, con l’effetto di stimolare lo spirito civico individuale. Quanto ai possibili scenari futuri, stando ai programmi delle forze politiche attualmente al governo, è lecito attendersi un rafforzamento ulteriore delle tutele per il whistleblower. Non è da escludere l’introduzione di forme di premialità, su cui si potrebbe avere qualche riserva, potendo sortire l’effetto di stimolare segnalazioni non in linea con le finalità della norma. Anche alla luce dell’esperienza applicativa, è auspicabile il diffondersi di una adeguata conoscenza dell’istituto che, ove utilizzato senza la necessaria consapevolezza, può causare danni gravi. Riterrei, infine, di dubbia opportunità l’affacciarsi delle ulteriori figure di contrasto al fenomeno corruttivo che sono state recentemente preconizzate in alcune sedi, come l’“agente provocatore”, di cui sono note le problematiche applicative e le complessità sul piano giuridico.

Cantone ha parlato anche di appalti facendo intendere che non si sta andando nella direzione auspicata. Quale è il suo punto di vista e quali modifiche andrebbero introdotte in questo settore? BONANNI Il Presidente Cantone ha espresso una valutazione positiva sul Codice degli Appalti introdotto nel 2016, lamentando però la mancata attuazione degli istituti giuridici da lui ritenuti più innovativi e una parziale “marcia indietro” operata con il decreto correttivo n. 56/2017. Condivido il suo apprezzamento per alcune delle principali innovazioni del nuovo Codice, purtroppo non ancora attuate, come il regime di qualificazione delle stazioni appaltanti e il rating di impresa, che avrebbero l’effetto di stimolare amministrazione pubblica e imprenditoria verso un comune percorso di maggiore professionalizzazione. Ciononostante, considero l’attuale Codice migliorabile sotto numerosi aspetti, anche alla luce dell’esperienza maturata nel suo primo periodo di applicazione (che ormai ha superato i due anni). Il testo del D.Lgs. 50/2016, più breve del previgente codice, è appesantito da un eccessivo numero di atti applicativi e di soft-law, che frammentano e confondono la chiarezza del quadro normativo, complicando e rendendo aleatorio il procedimento amministrativo di selezione del contraente. Emblematica, in tal senso, è la causa di esclusione del “grave illecito professionale” che, a seguito della disciplina di dettaglio introdotta con Linee Guida emanate dall’Anac, ha assunto contorni talmente indefiniti da poter determinare esclusioni anche arbitrarie. Non è convincente, poi, la concezione di un procedimento concorrenziale in cui il provvedimento di aggiudicazione si formi per fasi, senza che sia chiaro il momento in cui la Pubblica amministrazione debba procedere alle verifiche sul possesso dei requisiti dichiarati. In tale contesto, la scelta di anticipare il contenzioso giurisdizionale già nella fase di ammissione dei concorrenti, attraverso l’introduzione di artificiose decadenze, ha prodotto effetti non solo paradossali, ma anche lesivi del diritto di difesa, come testimoniato dalla rimessione alla Corte di Giustizia Ue operata a gennaio dal Tar Torino e dall’ancor più recente deferimento alla Corte Costituzionale da parte del Tar Bari. Meriterebbe invece di essere ampliata la parte del Codice che detta le norme sull’esecuzione dell’appalto, non persuadendo l’idea che tale disciplina, che include anche quella sulla gestione delle riserve nei lavori pubblici, sia rimessa ai capitolati delle singole stazioni appaltanti.

Alla luce di quanto è emerso dalla Relazione, cosa manca ancora da fare nell’ambito della lotta alla corruzione? SIMBARI Per combattere il fenomeno corruttivo si può e si deve fare ancora molto. Quella di innalzare le pene edittali è una strategia per un verso insufficiente e, per un altro, errata, perché rischia di sbarrare del tutto la strada della denuncia spontanea del fenomeno. Tra corrotto e corruttore esiste infatti un patto d’acciaio, perché per scioglierlo bisognerebbe denunciare anche se stessi, il che rende particolarmente difficile l’emersione del reato. Ecco perché occorre incentivare meccanismi premiali come, ad esempio, l’introduzione di una causa di non punibilità a beneficio di colui che denunci di propria iniziativa (e prima della emersione della notizia criminis) la stipulazione di un patto corruttivo. Sull’opportunità di tale previsione si discute da anni (sin dalla proposta di Cernobbio degli anni ‘90) ed oggi, alla luce dei numerosi fenomeni corruttivi che dilaniano e hanno dilaniato il Paese, tale intervento, rappresentando un valido ‘incentivo’ alla rottura del pactum sceleris, appare sempre più necessario ed urgente. Non si può non rimarcare, sempre sul tema della lotta alla corruzione, il recente intervento del Procuratore Capo di Milano, Francesco Greco, che nell’ambito del bilancio annuale di Responsabilità Sociale della Procura ha voluto sottolineare che il lavoro di Anac, seppure encomiabile negli ultimi anni, per le sue modalità operative ha in alcuni casi addirittura nuociuto alle indagini. Anac infatti, ha evidenziato il Procuratore, ha sì trasmesso negli anni numerosi illeciti da cui si potevano desumere fatti di corruzione. Tuttavia, il ritardo con cui le notizie sono state trasmesse e soprattutto le modalità di acquisizione degli elementi (acquisizione di documentazione presso gli enti coinvolti) hanno determinato una discovery anticipata, sostanzialmente rendendo inutili ulteriori indagini nei confronti di soggetti già allertati.

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