Sono due le notizie che emergono dall’ultima rilevazione Istat di luglio: scongiurata (per ora) l’ondata di licenziamenti e il calo di occupati che riguarda praticamente solo i lavoratori autonomi, 62 mila in meno in un anno.
Dalle guide turistiche agli organizzatori di eventi e fiere, che scontano sicuramente l’anno e mezzo di Pandemia. Ma il grande esodo, in aggiunta in questo caso al calo di vocazione, coinvolge anche i professionisti: avvocati, commercialisti, notai, mestieri che i giovani non vogliono più fare.
Sono state fatte analisi più o meno azzeccate in questi giorni sulla “fuga dalle professioni”, tirando in ballo, a volte, anche “le donne, il tempo ed il governo”. Ma, a ben vedere, il vero vulnus è intrinseco allo stesso sistema ordinistico, che prende forma, come sappiamo, ormai oltre cent’anni fa.
Ebbene, se andiamo a vedere non tanto quanto si sono rinnovati i vari ordinamenti interni alle categorie, ma come lo hanno fatto, forse troveremo più di qualche risposta. La riforma forense risale al 2012, e non è altro che una “controriforma” per contrastare le spinte liberalizzatrici partite nel 2006 con il famoso decreto Bersani e riprese dal governo Monti su spinta dell’Europa. Ma non basta.
Oltre a non aver adeguato la professione alle nuove sfide portate da ben due crisi consecutive che hanno dimezzato i redditi degli avvocati, gli organi di categoria hanno intrapreso da anni una lunga ed estenuante battaglia interna, come abbiamo ricordato più volte in queste pagine. Che cosa ha portato? Specializzazioni bloccate per anni, ricorsi al Tar contro qualsiasi regolamento sull’attività professionale, fino al commissariamento del Consiglio nazionale forense proprio nel periodo clou della Pandemia.
I commercialisti hanno avuto un percorso simile di litigiosità interna e riforme boomerang o mai attuate, mentre l’ordinamento notarile è regolamentato dalla legge n. 89 del 16 febbraio 1913. Detto tutto.
Quindi la domanda oggi diventa più che mai necessaria: gli ordini professionali sono ancora adeguati? Tutelano effettivamente le giovani generazioni fornendo loro gli strumenti necessari per poter competere sul mondo del lavoro? Dopodiché si può parlare di digitalizzazione, spese elevate di avviamento alla professione, università specializzanti e via dicendo. Ma senza centrare il punto, che è il concetto stesso di ordine professionale. Da rivedere o da abolire?
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