Le banche italiane tra crisi e innovazione

Con l’aiuto delle numerose normative introdotte negli ultimi anni il sistema finanziario cerca di recuperare la fiducia dei propri clienti, puntando sul cambiamento e sulla ristrutturazione interna. Se ne è parlato alla tavola rotonda promossa da Le Fonti.

La crisi finanziaria degli ultimi anni ha messo in luce l’inadeguatezza degli strumenti di gestione e risoluzione delle crisi bancarie in molti Paesi dell’Ue: l’Italia, in particolar modo, ha dimostrato di trovarsi in forte difficoltà di fronte a strutture organizzative eccessivamente complesse.
[auth href=”https://www.lefonti.legal/registrazione/” text=”Per leggere l’intero articolo devi essere un utente registrato.
Clicca qui per registrarti gratis adesso o esegui il login per continuare.”]Le soluzioni intraprese sono state numerose: la crisi del 2007 ha dato inizio a un processo legislativo, proseguito in parallelo a un inasprimento della regolamentazione sul capitale delle banche, che ha portato all’entrata in vigore, il 1 gennaio del 2016, della Bank Recovery and Resolution Directive (Brrd). Questa normativa, detta anche «normativa sul bail in», fornisce alle autorità di risoluzione strumenti per pianificare la gestione delle crisi e intervenire prima della manifestazione delle stesse. Negli ultimi anni infatti la riduzione dei volumi di raccolta bancaria è stata intensa: numerosi clienti, timorosi di essere travolti dalla crisi, si sono allontanati da banche sempre più carenti in termini di possesso di capitale a causa di crediti deteriorati e mal gestiti. Per riconquistare la fiducia della clientela, che resta l’asset fondamentale per le banche, è necessario intraprendere due percorsi paralleli: da un lato sanare la carenza culturale e strutturale adottando strumenti di corporate strategy, dall’altro snellire e riorganizzare la tradizionale rete distributiva. Il mondo bancario, da questo punto di vista, è sicuramente in forte evoluzione, soprattutto grazie all’introduzione degli sportelli leggeri, ossia caratterizzati dall’impiego di un numero di dipendenti limitato e con un elevato grado di informatizzazione. Il quadro generale non è quindi negativo: le banche oggi, seppur chiamate a sottoporsi a uno sforzo massimo con risorse minime, guardano al futuro e cercano di adeguarsi al cambiamento sfruttandone i lati positivi. Della situazione delle banche insolventi e dei loro crediti deteriorati si è occupata la tavola rotonda organizzata da Legal dal titolo «Crisi delle banche e tutela del credito: prospettive e opportunità per il 2017», esaminando gli strumenti, le riforme e le manovre attuate e da attuare per l’anno in corso al fine di sanare la situazione di crisi e tutelare i risparmiatori. La tavola rotonda è stata moderata da Angela Maria Scullica, direttore responsabile delle testate economiche di Le Fonti, e ha visto la partecipazione di Piero Albertario di Studio Gattai, Minoli, Agostinelli & Partners – Studio Legale, di Matteo Bascelli di CBA Studio Legale e Tributario, di Marcello Maienza di Studio Legale RCC, di Alessandra Caputo di EY e di Luca Zitiello, di Zitiello Associati.

A livello comunitario una normativa importante è stata la Bank recovery and resolution directive (Brrd). Quali conseguenze ha avuto nel sistema bancario e come è stata accolta dai Paesi membri?
maienza La direttiva Brrd è entrata in vigore il 1 gennaio 2016 ma non è una normativa nata dal nulla: a parte il periodo di consultazione, è figlia di un processo legislativo che riguarda le banche e che prende spunto dalla crisi del 2007. Abbiamo assistito gradualmente a un inasprimento della regolamentazione sul capitale delle banche: mentre altri paesi come la Germania e la Spagna, lungimiranti, hanno anticipato l’entrata in vigore della Brrd andando a ripatrimonializzare le banche prima che questo modus operandi venisse biasimato dagli organi europei o addirittura vietato, in Italia c’era il mantra “il sistema bancario italiano è solido”. Il problema invece c’è, è grosso, ed è di difficile soluzione: e ne abbiamo preso coscienza troppo tardi. Quello che manca alle banche è il capitale, che viene assorbito da una grandissima quantità di crediti deteriorati, mal gestiti, mal curati. Le banche spesso non ne hanno neppure consapevolezza e quando provano a far qualcosa con i loro portafogli si rendono conto che mancano dati, informazioni e documenti. Sembra un po’ miope sia da parte del sistema bancario che della politica italiana dire oggi che non ce l’abbiamo fatta, mentre in realtà i segnali del fatto che bisognasse muoversi prima sono presenti e ben visibili da dieci anni. Tuttavia le banche italiane sono state, in questo periodo, troppo chiuse in se stesse e troppo sicure del fatto che il problema non riguardasse loro.

Si può quindi dire che c’è stato un problema di governance?
bascelli Nell’analisi delle cause che hanno provocato la crisi del sistema bancario l’attenzione si rivolge spesso al ruolo avuto e alle funzioni svolte dagli attori che per anni ne sono stati protagonisti. La presenza delle fondazioni bancarie nel sistema creditizio italiano ha spesso inciso in maniera rilevante nella gestione del credito, avendo esse tra gli obiettivi propri, come per le casse di risparmio, non tanto l’ottenimento della massima redditività, ma anche il perseguimento dell’utilità sociale, lo sviluppo locale e il sostegno economico attraverso l’utilizzo dei proventi del patrimonio, complici anche le esigenze di contrazione della spesa pubblica volute dalle politiche comunitarie che hanno imposto severi cost cutting in settori vitali per il Paese (infrastrutture, sanità, scuola e cultura, politiche sociali), alle quali le fondazioni, grazie ai loro statuti, hanno fatto in tali aree di investimento da contraltare sostituendosi al ruolo dello Stato centrale e degli enti locali. Sarebbe tuttavia miope, oltreché ingiusto, attribuire alle fondazioni le responsabilità della mancata evoluzione del sistema bancario italiano. Le maggiori colpe sono infatti da individuarsi altrove e, in particolare, nelle carenze strutturali ed organizzative di alcune aree cruciali del credito, ma anche nei ritardi con i quali sono state ammodernate parti importanti del contesto giuridico nazionale di riferimento.

Si può quindi affermare che c’è un obiettivo di riorganizzazione interno di tutto il sistema e non soltanto di risoluzione della crisi bancaria?
albertario Gli ultimi due anni sono stati contraddistinti non soltanto da una profonda crisi del sistema bancario italiano ma anche dall’entrata in vigore della riforma delle banche popolari.  Quest’ultima è avvenuta in un periodo poco felice del sistema bancario ma, ciononostante, le sue finalità erano, e restano, nobili. Quello che purtroppo il Governo non ha avuto il coraggio di fare è stato escludere, in quelle circostanze, il diritto di recesso: una simile decisione avrebbe potuto sollevare dubbi di legittimità costituzionale ma, a nostro avviso, altre soluzioni avrebbero potuto essere introdotte per evitare tale rischio.
Alla luce della facoltà concessa alle banche di limitare anche integralmente il diritto al rimborso delle azioni oggetto di recesso, è comunque ragionevole ritenere che gli azionisti receduti, rimasti insoddisfatti, promuovano azioni legali, tanto più qualora la Corte Costituzionale dovesse pronunciarsi a favore della incostituzionalità della norma in parola. Le trasformazioni già deliberate sono ormai un dato di fatto e al riparo da una possibile invalidità che possa comprometterne l’efficacia, ma il rischio di contezioso resta molto elevato, con la conseguenza, nel peggiore degli scenari, che banche popolari già trasformatesi in società per azioni si trovino a pagare un conto salato. Riallacciandomi al tema della corporate governance, soprattutto nel mondo delle banche popolari, la nota tematica dell’autoreferenzialità ha ostacolato il ricambio negli anni dei soggetti chiamati a rivestire incarichi di amministrazione e controllo. Oggi in molti consigli di amministrazione di banche italiane siedono esponenti aziendali privi della necessaria esperienza nel settore bancario. Sotto tale profilo credo che assisteremo nel tempo anche a interventi rilevanti da parte dell’Autorità di Vigilanza europea sul tema dei requisiti di professionalità degli esponenti aziendali: la governance delle banche ha talvolta frenato, in questi anni, l’innovazione della struttura interna del sistema bancario.
caputo Il fatto di aver recepito questa direttiva in così poco tempo non ha dato alle banche la possibilità di recepirla e acquisirla in maniera adeguata. Un lasso di tempo maggiore avrebbe infatti consentito di effettuare un maggiore scambio di informazioni all’interno delle banche stesse, che sarebbero state più preparate a quello a cui andavano incontro. Probabilmente l’aver negato per molto tempo i problemi del sistema bancario è stata una decisione adottata per tranquillizzare i piccoli investitori ma che alla lunga non si è rivelata né efficace né tanto meno vincente.

Adesso si parla molto di Atlante 2. Di cosa si tratta?
zitiello Non potendo attingere agli aiuti di Stato, il sistema bancario si è organizzato diversamente con sistemi privatistici, ossia con una Società di gestione del risparmio e creando un fondo che potesse partecipare alla capitalizzazione delle nuove banche o comunque della sottoscrizione del debito e l’acquisizione dei non performing loans. Così nasce il Fondo Atlante, subito impegnato su due banche la cui crisi è emersa a partire da marzo 2015: la Banca Popolare di Vicenza e la Veneto Banca. Queste banche riassumono bene in cosa consista la crisi del sistema bancario e dove affondino le sue radici, nonostante ci siano ancora una serie di processi e di accertamenti in corso da parte di tutta una serie di autorità. È proprio qui però che si vede la sostanziale difficoltà nel cercare di sanare situazioni oggettivamente troppo complesse per poter esser risolte in poco tempo. Gli azionisti hanno visti annullati i loro risparmi impegnati nella sottoscrizione delle azioni della banca: c’è stata una quasi totale diluizione quindi degli azionisti e, a catena, si è creato un grossissimo rischio di contenzioso tra tutta la platea degli azionisti e la banca stessa. Il rischio del contenzioso è così alto che può mettere in crisi la vita dell’intermediario stesso che potrebbe, in ragione della sua natura ed estensione, nonché dell’elevatissimo numero dei soggetti coinvolti, non essere in grado di sostenere. Il recente provvedimento “salva banche” del governo sulla possibile iniezione di liquidità di 20 miliardi, che tocca direttamente questi casi, potrebbe portare ad un conflitto di interessi all’interno dello stesso sistema bancario. Chi aveva investito nel Fondo Atlante non sarà contento di veder svalutato il suo investimento. Qualora Atlante 2 non avesse le risorse necessarie per intervenire, si verificherebbe una diluizione dei soggetti che avevano investito sopperendo all’intervento statale. L’esperienza quindi ci insegna che quando si è costretti a risolvere una questione in maniera tempestiva e istantanea, si rischia di individuare soluzioni inappaganti che possono peggiorare ulteriormente la situazione. Risolvere questo problema è estremamente complicato: va fatto con grande pazienza e soprattutto mantenendo una visione d’insieme.

È dunque corretto affermare, come qualcuno ha fatto, che questo ultimo decreto, il 237, non è giusto?
zitiello A ben veder il contenuto del decreto 237 è giusto, perché non disdice nessun principio delle Brrd, ma in realtà li applica. Dice che lo Stato può intervenire ma non può farlo nei confronti di aziende decotte. Deve essere quindi fatta una verifica preventiva per controllare che ci siano tutti i requisiti necessari alla iniezione di liquidità. Inoltre il decreto è da ritenere giusto perché prende in considerazione l’intervento sul capitale, sul debito e sui crediti. C’è inoltre un miglioramento rispetto all’intervento fatto sulle Banche dell’Italia Centrale: lì non c’è stato un intervento temporaneo, ma un’anticipazione del bail in. Il governo ha fatto quindi bene a fare questo provvedimento e a cercare di farlo funzionare, nonostante le numerose difficoltà.
maienza Secondo me le banche stanno perdendo l’asset più prezioso che hanno: la fiducia della loro clientela. Il risparmiatore è confuso, non riesce a capire quale sia la situazione attuale delle banche e in quale direzione vadano i decreti dello Stato. E non so come e quando la fiducia possa essere ripristinata. Le banche oggi devono essere snelle, efficienti e tempestive: invece ci sono troppi sportelli e troppi costi di gestione che, inevitabilmente, ricadono sul cliente.

L’intervento dello Stato potrebbe restituire al cliente la fiducia nelle banche?
bascelli Quanto alle carenze di natura strutturale (e culturale), è stato rilevato che la mancata adozione di strumenti di cosiddetta corporate strategy ha impedito una piena e tempestiva comprensione della scarsa qualità del credito erogato e delle criticità di relativo recupero. A tale aspetto cerca di fornire risposta la stessa Banca Centrale Europea che con il documento recante le “Linee guida per le banche sui crediti deteriorati (Npl)” del marzo di quest’anno, pur se con norme di carattere non vincolante, ha individuato un insieme di “migliori prassi” che ritiene utile indicare alle banche. Tra esse la comprensione del contesto operativo, sia interno che esterno, nella sua interezza che risulta fondamentale per l’elaborazione di una strategia per gli Npl che sia al tempo stesso ambiziosa e realistica. Per la Bce, infatti, la capacità di una banca di ottimizzare la gestione, e quindi conseguire la riduzione, degli Npl e delle garanzie escusse è influenzata da una serie di fattori interni fondamentali, da cui la necessità di un’autovalutazione esaustiva e realistica per definire la gravità della situazione e le misure da intraprendere internamente per porvi rimedio. La banca dovrebbe in particolare esaminare e comprendere appieno la propria capacità operativa fatta di procedure, strumenti, qualità dei dati, informatizzazione, personale e competenze professionali, processo decisionale e politiche interne. L’attuazione dei piani operativi per la gestione degli Npl dovrebbe quindi poggiare su politiche e procedure adeguate, con una chiara attribuzione delle competenze e strutture di governance idonee (incluse procedure di escalation). Bce arriva a suggerire che le banche dovrebbero chiaramente definire e documentare i ruoli, le responsabilità e le linee gerarchiche per l’attuazione della strategia per gli Npl; il personale e i dirigenti coinvolti nelle attività di recupero degli Npl dovrebbero essere dotati di chiari obiettivi e incentivi a livello individuale (o di gruppo) tesi al raggiungimento degli obiettivi convenuti.
albertario In questi ultimi anni abbiamo assistito a una riduzione massiva dei volumi di raccolta bancaria dovuta alla perdita di clienti che si sono allontanati dalle banche, nel timore di essere travolti dalla crisi che ha segnato il destino di alcune di esse.
Nel contempo abbiamo assistito a una massiva riduzione del numero degli sportelli e a una riorganizzazione della tradizionale rete distributiva mediante la creazione degli sportelli c.d. leggeri, ossia caratterizzati dall’impiego di un limitato numero di dipendenti e con un elevato grado di informatizzazione. Il mondo bancario è quindi in forte evoluzione.

Le bad bank si sono dimostrate uno strumento che ha funzionato? E cos’è accaduto invece per quanto riguarda i non performing loans?
caputo La visione che si ha oggi è futuristica, ma vanno potenziate le strategie interne per meglio individuare le diverse specie di crediti in sofferenza e gli stati degli stessi, il tipo di debitore, il tipo di garanzie. Più si è specifici nell’individuazione, più si riesce facilmente ad immetterli sul mercato in maniera ottimale. Ci si augura un miglioramento interno per tutti gli addetti ai lavori, in modo da avere una visione più precisa dell’insieme che possa essere utile al mondo del business dal punto di vista complessivo.
zitiello Quello che manca è sia la possibilità di creare dei pacchetti che siano facilmente negoziabili e non richiedano sforzi sovraumani che un mercato tale da far funzionare questi pacchetti. Evidentemente, fino a che non ci sarà un mercato, sarà una vana speranza quella di vedere l’efficienza dei prezzi. Probabilmente è più facile che in questo momento a essere favoriti siano gli acquirenti e non i venditori: è questo punto che dovrebbe essere alla base del cambiamento. Bisogna anche considerare, non per fare dello storicismo, che siamo di fronte ad una “tempesta perfetta”: queste crisi sono avvenute non a caso perché si sono verificate delle condizioni di mercato molto complesse e sfavorevoli che, oggettivamente, hanno messo sotto stress il sistema. La riflessione da fare è che ci troviamo nella situazione in cui le banche sono chiamate a fare il massimo sforzo con il minimo delle risorse, e questo aspetto non può essere sottovalutato. È da considerare che la governance delle banche è stata sì irrobustita, ma gli effetti concreti sono ancora da vedere. Sono entrate in vigore, nel corso di un anno cinque normative, tutte importantissime: per affrontare tutti i temi e fare su essi strategia, ci vorrebbe più tempo. Ogni normativa è infatti una sfida che prevede la preparazione di una strategia tale da potersi adeguare al cambiamento e poterne usufruirne al meglio: invece questi cambiamenti nella maggior parte dei casi non vengo analizzati dal punto di vista strategico e, quando si va in banca a spiegare questo tipo di normative, troppa poca è la partecipazione dell’alto management, che vive la regolamentazione come un ulteriore costo da sopportare o, addirittura, come un male necessario. Noi stessi da tecnici del mercato abbiamo numerose difficoltà a seguire le numerose novità, per cui è comprensibile che chi non si occupi di questo tutti i giorni non riesca a avere una visione complessiva. Altro punto da non sottovalutare è quello del budget: noi professionisti subiamo, stando sul mercato, i tagli di budget che gli intermediari fanno per riuscire a chiudere i bilanci. Questi tagli di budget hanno come diretta conseguenza una minore consulenza e una minore capacità di essere supportati nelle scelte strategiche: si crea dunque un circolo vizioso che sembra mettere a rischio un sano processo di riforma.
bascelli Anche le criticità di natura giuridica sono note alla Bce, la quale nelle già menzionate “Linee guida” evidenzia come il quadro normativo, regolamentare e giudiziario a livello nazionale, europeo e internazionale, ivi inclusi i profili di trattamento fiscale, influenza la strategia per gli Npl delle banche e la loro capacità di conseguirne la riduzione. Impedimenti di tipo legale o giudiziario ad azioni esecutive sulle garanzie incidono, ad esempio, sulla possibilità di una banca di adire le vie legale nei confronti dei debitori o di riscuotere attività a saldo di un debito, con ripercussioni anche sui costi di tali azioni esecutive nelle stime degli accantonamenti per perdite sui crediti. A tale riguardo, in Italia si stanno susseguendo interventi di ammodernamento del sistema legale di grande importanza, con riforme dirette a rendere maggiormente efficiente la tutela del credito. Con il “decreto banche” del giugno 2016 (L. 119/2016) è stata, ad esempio, introdotta un’organica disciplina relativa alla prima compiuta forma di garanzia non possessoria su beni mobili non registrati, (esistenti o anche futuri), a garanzia di crediti (presenti o, pure con riferimento a questi, futuri) e, con essa, al relativo “registro dei pegni non possessori”, nonché all’ulteriore forma di garanzia acquisibile dal creditore nell’ambito del finanziamento alle imprese, costituita dal trasferimento del bene immobile sospensivamente condizionato all’inadempimento del debitore (patto marciano). Il menzionato upgrade dell’ordinamento italiano appare ancor più concreto accennando appena, in questa sede, alle ulteriori novità normative apportate sempre dalla l. 119/2016 alla legge fallimentare, introducendo in essa modalità anche telematiche per la costituzione del comitato dei creditori, per lo svolgimento dell’udienza di discussione per l’esame dello stato passivo e per lo svolgimento dell’adunanza dei creditori nell’ambito delle proposte concordatarie concorrenti. Ma anche alle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, allo stesso codice di procedura civile e al codice civile, in tema di disciplina dell’espropriazione forzata e nell’ambito della tutela giurisdizionale dei diritti. Tali interventi consentiranno all’Italia di scalare diverse postazioni nella classifica mondiale degli ordinamenti che contemplano un efficace sistema di getting credit, il cui difficoltoso rimborso pesa in maniera così ingente sui bilanci bancari. Anche grazie a tali interventi di natura “endogena” nel sistema dei diritti patrimoniali e di credito, le banche italiane potranno trovare nuove modalità di consolidamento sul mercato internazionale.
maienza Della bad bank ci sarebbe grande bisogno. L’esperienza fatta in passato, quella del Banco di Napoli, è stata positiva e chi aveva investito ha avuto un ritorno superiore alle aspettative, a dimostrazione del fatto che nel momento in cui un credito può essere lavorato con attenzione e con dedizione se ne può tirar fuori un flusso di cassa sicuramente superiore a quello che è il flusso di cassa che si riesce ad attualizzare vendendo il credito. Il problema è che sono pochi gli operatori che investono in crediti non performing e questi operatori, per loro natura, si aspettano ritorni a doppie cifre. Ma vi è il grosso tema dei tempi di recupero: a causa del sistema giudiziari italiano i tempi sono molti dilatati e questo le banche lo pagano in termini di prezzi. Sicuramente la possibilità di creare un veicolo, un soggetto che sia in grado di acquistare il non performing a un prezzo ragionevole e non speculativo metterà fuori gioco molti fondi.
Uno degli orientamenti che il governo vuole portare avanti è dividere le banche in commerciali e finanziarie. Quali potrebbero essere gli effetti?
zitiello Questo è un vecchio tema che viene fuori periodicamente in coincidenza delle crisi, che risale addirittura alle conseguenze adottate in seguito alla Crisi del ’29, quando si cominciò a pensare che sarebbe stato opportuno effettuare una divisione tra banche commerciali e banche finanziarie. Questo tema è una spia del provincialismo italiano: si dovrebbe capire che esiste un principio di despecializzazione delle banche e che ben 25 anni fa si è condiviso a livello europeo un principio di polifunzionalità delle banche. La polifunzionalità porta con sé enormi problematiche di conflitti di interessi davvero difficili da gestire: quando il conflitto di interessi è immanente non è infatti possibile riuscire a risolverlo. Il dibattito è positivo quindi solo se riportato nella sede competente giusta e rischia invece in questo modo di diventare solo populista e non risolutivo. È necessaria la consapevolezza che qualsiasi provvedimento si voglia adottare in futuro deve fare i conti con il passato ed è fondamentale un periodo di assorbimento. Se si volesse parlare davvero del conflitto di interessi, della despecializzazione e della separazione funzionale, questo porterebbe con sé anche la suddivisione del mercato sotto il profilo delle proprietà. In ogni caso si può spingere verso la disintermediazione bancaria del credito, basti fare l’esempio dei mini bond, che potrebbero essere una soluzione interessante per un sistema di finanziamento alternativo delle imprese. C’è però bisogno di individuare dei sistemi più efficaci per incentivare forme di risparmio in questo senso, in maniera analoga a quello del risparmio fiscale che era stato accordato ai fondi immobiliari. Intervento comunque discutibile se si pensa che i fondi immobiliari finirono per arricchire chi era già ricco senza benefici per la collettività. Il problema maggiore del mercato finanziario è sicuramente quello del conflitto di interessi: per risolverlo sono necessarie scelte non solo molto forti, ma anche generali e astratte, che interessino tutto il mercato e abbiano quantomeno un respiro europeo.

Qual è quindi il vostro giudizio sugli ultimi due anni di legislazione? E quali sono le criticità maggiori da affrontare?
maienza Purtroppo spesso ogni nuovo provvedimento in qualche modo è incoerente con quello precedente e, soprattutto, è troppo spesso figlio di un modo di legiferare per mettere una toppa a un buco creato e non un rinforzo al tessuto prima che il buco si crei. Il mio giudizio non è quindi molto positivo, anche perché il legislatore è anche influenzato da tensioni politiche e corporative che non fanno bene al sistema. Le legislazioni non dovrebbero essere figlie del governo al potere in quel momento, ma sarebbe auspicabile un provvedimento super partes che si sganci dalle ideologie. Il legislatore europeo, che tanto noi soffriamo, è quindi a mio parere in questo momento l’unico che sta obbligando lo Stato Italiano ad adeguarsi a provvedimenti impopolari: i risultati di questi provvedimenti non possono infatti essere apprezzati subito, ma potranno esserlo soltanto tra dieci, quindici anni, quando cambierà la cultura del Paese. Il vero problema è atavico, e risiede nella convinzione tutta italiana che, da un momento all’altro, arriverà qualcuno a salvare la situazione. Finché si è in un Paese isolato e non in una comunità, questa convinzione non è un problema così grande, ma nell’Unione Europea bisognerebbe adeguarsi alla cultura degli altri per una convivenza quantomeno civile.
bascelli Sulla “rispecializzazione” delle banche io sono tiepido, guardando anche all’inarrestabile tendenza alla disintermediazione creditizia. Ritengo, piuttosto, che le banche non possano non affrontare una vera e propria rivoluzione culturale, alla quale fa riferimento la stessa Bce, partendo dall’esperienza internazionale che indica che un modello operativo adeguato per la gestione degli Npl il quale si basa su apposite unità dedicate al trattamento dei crediti deteriorati, distinte rispetto a quelle preposte all’erogazione dei prestiti, tenendo conto dell’intero “ciclo di vita” dei crediti deteriorati al fine di assicurare che le attività di recupero e gli accordi con i debitori siano calibrati per ciascun caso specifico. Le motivazioni fondamentali di tale separazione, come insegna la Bce, risiedono nell’eliminazione di potenziali conflitti di interesse e nel ricorso a competenze specializzate per gli Npl, a livello sia di personale sia di dirigenza.
albertario Da tempo le banche patiscono una rilevante riduzione dei propri ricavi, in ragione del fatto che l’attività core della banca risulta oggi molto meno remunerativa. Tale circostanza ha costretto gli istituti di credito a valutare l’offerta di nuovi servizi e prodotti alla propria clientela, non sempre di natura prettamente finanziaria. Inoltre sempre più evidente risulta il problema dell’esubero del personale, acutizzatosi a seguito di una profonda revisione della rete distributiva mediante la chiusura di sportelli, messa in atto dai principali istituti di credito italiani. È possibile quindi che il Legislatore valuti l’introduzione in futuro di provvedimenti che facilitino la riduzione del personale delle banche, contribuendo così ad accelerare un processo di evoluzione del sistema bancario oggi già in atto.
caputo Mi auguro che i provvedimenti che verranno presi nel futuro prossimo guardino al bene comune e non a quello di poche categorie di addetti ai lavori e, soprattutto, non abbiano come prospettiva un periodo di tempo limitato e immediato bensì puntino ad una ricostituzione lenta ma efficace.

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