L’attività d’impresa in Italia tra doveri, facoltà e opportunità

Sono sempre maggiori le incombenze che gravano sull’imprenditore italiano che vuole seguire scrupolosamente i dettati normativi, anche quelli non obbligatori. Questo aggrava la gestione, ma migliora la qualità del lavoro dell’impresa. Una riflessione ricorrente quella su quanti pesi e responsabilità gravino sull’imprenditore italiano. Sono titolare di uno Studio Legale che si occupa principalmente di assistenza alle imprese, di prevenzione delle responsabilità penali e, quando necessario, della difesa in giudizio. Il rapporto con il cliente, quando funziona, si declina come una virtuosa collaborazione probabilmente perché il lavoro finale che ci si pone di consegnare presuppone una profonda conoscenza dell’impresa. Ed infatti, la fase iniziale di conoscenza, oltre allo studio dei documenti, è, per parte mia, caratterizzata dal capire, prima di tutto, la storia dell’impresa, i suoi valori, le intuizioni degli uomini e delle donne che l’hanno pensata, creata e fondata e che ne hanno accompagnato il percorso di crescita. È molto utile, a mio avviso, anche conoscere i luoghi dove l’impresa si esercita, facendo un tour degli spazi, zone produttive e amministrative. Questo percorso normalmente svela aneddoti, personalità, storie che rivelano il rapporto delle persone che fanno impresa con il loro territorio. È affascinante il legame che l’imprenditore, il buon imprenditore, intrattiene con i suoi collaboratori, con i dipendenti, gli operai. La logica propria di un certo modo di pensare, che contrappone in modo netto capitale e lavoro, che vede gli imprenditori come spregiudicati sfruttatori che non conoscono la fatica e vivono nel lusso, ha fuorviato molte menti. Personalmente non ho esperienza di questo tipo, ma di uomini e donne coraggiosi e intraprendenti che hanno messo un’idea nuova al centro della propria vita e le hanno dedicato tempo, risorse e lavoro. Si tratta di un prezioso capitale umano, costituito da coraggiosi imprenditori e insostituibili dipendenti e, quando l’impresa cresce, da un Consiglio di Amministrazione gravato da numerosissime incombenze. Alcune sono necessarie e propedeutiche all’apertura stessa dell’attività o di una nuova sede, altre obbligatorie, a cui l’impresa deve adeguarsi nei più disparati ambiti. Penso alla delicatissima materia della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro e a tutte le incombenze connesse. E, ancora, agli adempimenti che obbligatori non sono ma che considero necessari. A questo gruppo appartengono le certificazioni volontarie, la compliance Gdpr (anche quando non è strettamente obbligatoria), ai Modelli Organizzativi di Gestione e Controllo previsti dal D.lgs. 231/01. Queste attività sono importanti e un consulente legale attento alle esigenze dell’impresa deve rimarcarne l’importanza. La domanda sulla loro utilità parte dal significato fondamentale degli adempimenti, va capito che cosa si chiede, in parole povere, all’impresa. Il legislatore ha imposto uno sforzo economico e organizzativo e anche l’impegno a istituire un organismo autonomo e indipendente che potrà, o meglio dovrà, mettere naso e bocca in qualsiasi ambito e documento della società, nessuno escluso. Non è obbligatorio, ma è l’unico modo per evitare che una società risponda in sede penale del comportamento delittuoso commesso da un singolo nel suo vantaggio o interesse. Questo evento non può essere escluso a priori da alcuno e, è bene ricordarlo, la contestazione di un reato è un evento che non coincide necessariamente con l’esistenza del reato stesso. E siccome le sanzioni nelle quali un ente può incorrere tra interdittive e pecuniarie, possono comportarne la morte economica, la strada più prudente è l’adeguamento. Gli avvocati lo ripetono spesso, portano esempi di casi concreti seguiti dagli studi nei quali il reato è stato contestato in assenza del Modello Organizzativo evidenziandone le conseguenze processuali. I dieci anni di esperienza gomito a gomito con le imprese, il tempo trascorso a comprenderne il funzionamento, le peculiarità e le specificità, solo chi conosce bene un’impresa può costruire un Modello Organizzativo efficace, consentono di affermare che esistono diversi livelli di difficoltà nel far penetrare il principio di governance introdotto con la norma nella mentalità fattiva e concreta dell’imprenditore italiano. Da una parte c’è un tema culturale, particolarmente sentito nelle piccole imprese a origine familiare, ove occorre superare un legittimo preconcetto in ordine all’organizzazione che discenderà dal Modello. Molte volte, infatti, un Modello ben scritto pone regole nuove e ulteriori rispetto a quelle che vigevano prima della sua attuazione e questo richiede uno sforzo di adattamento collettivo, di tutte le parti coinvolte.
Tuttavia, in un rapporto virtuoso, il momento della costruzione delle nuove regole può essere l’occasione per migliorare le prassi aziendali, creare maggiore efficienza, colmare i gap organizzativi, aderire a principi etici che determinano non solo la prevenzione dei reati ma un nuovo modello di business. Dall’altra parte c’è un tema economico. Realizzare un Modello Organizzativo comporta un costo e istituire l’Organismo di Vigilanza, un altro, peraltro ricorrente. Si tratta di uno scoglio inevitabile, senza l’Organismo di Vigilanza il Modello Organizzativo non ha pieno valore e vigore.
A essere onesti, a questi costi se ne aggiungono altri. Nell’ultimo anno il D.lgs. 231/01 è stato integrato a più riprese (da ultimo con il d.lgs. 75/2020), con disposizioni così pregnanti che l’aggiornamento del Modello Organizzativo era necessario a renderlo attuale ed efficace. Ogni consulente o componente e presidente di un Organismo di Vigilanza ha dovuto, nel corso dell’ultimo anno sollecitare gli organi amministrativi delle imprese a procedere con integrazioni e modifiche dei Modelli Organizzativi, mettendone sotto stress gli apparati. Ultimamente poi, si sono aggiunti numerosissimi adempimenti derivanti dalla diffusione della pandemia e così le imprese che non hanno dovuto interrompere la loro attività, si sono trovate a fare i conti con nuove richieste e nuovi adeguamenti imposti dalla gestione emergenziale. Le riflessioni che hanno riguardato il rapporto tra avvocato/consulente e imprenditore, in particolare durante il primo lockdown, esperienza particolare, ansiogena e del tutto inedita, hanno condotto a molteplici riflessioni. In questi momenti, così come in tutte le crisi, è stato, ed è, determinante mantenere un approccio lucido e attivare al massimo la comprensione nei confronti del prossimo, per restare ancorati al proprio ruolo con efficienza e pragmatismo, e trarne per sé e per i clienti, la massima utilità dal rapporto. Tendere la mano a chi fa “buona impresa” costruendo buone sinergie e non documenti da accumulare è di gran lunga più semplice e soddisfacente di quanto non lo sia rimediare ad errori che potrebbero essere evitati.

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