Quando lo studio può fallire

Anche i professionisti presto potranno essere assoggettati a procedura d’insolvenza, come prevede un ddl in discussione in Parlamento. Una riforma che allinea l’Italia ai più avanzati ordinamenti stranieri, e in particolare quelli di common law

Il processo di avvicinamento tra studi professionali e aziende sta per arrivare a compimento. Il ddl delega alla riforma fallimentare, in discussione in Parlamento, estende agli studi professionali la possibilità di fallimento.
[auth href=”https://www.lefonti.legal/registrazione/” text=”Per leggere l’intero articolo devi essere un utente registrato.
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Evoluzione necessaria Carlo Felice Giampaolino, partner di Clifford Chance, accoglie la novità in arrivo come una presa d’atto che «la professione moderna richiede un’organizzazione di beni paragonabile a quella dell’azienda e una rete di relazioni contrattuali con le persone coinvolte». Sul piano sociologico, ricorda, la delega rispecchia la progressiva terziarizzazione dell’economia e dell’attività professionale. «La tendenza economica non smentisce l’importanza dell’apporto personale; anzi, l’organizzazione è richiesta dal cliente proprio per supportare il talento professionale del singolo». Dunque, se il processo pare inevitabile, Giampaolino fa comunque un auspicio: «Sarà comunque necessario che la delega tenga conto che la relazione tra cliente e studio professionale è essenzialmente fiduciaria e continuativa, e non è quindi possibile che sia il curatore a decidere del rapporto ancora in corso con la controparte».
L’avvocato di Clifford Chance invita inoltre a non eccedere nella comprensione per l’insolvente o il gestore dell’impresa in crisi. «In molti casi, infatti, l’amministratore della società fallita non è uno sfortunato imprenditore al quale non sarebbe giusto imputare l’insuccesso con la marchiatura del fallimento, ma un soggetto che, in vista della crisi, compie operazioni pericolose e ritarda eccessivamente l’apertura della procedura, pregiudicando in questo modo i creditori». Per non dire dei casi in cui vi è un soggetto di comodo, estraneo alla gestione della società, condotta di fatto da altri.
Non vede rivoluzioni all’orizzonte, ma piuttosto un’omogeneizzazione di procedimenti Oscar Podda, equity partner di Nunziante Magrone. «A una prima lettura il ddl sembra ipotizzare per i professionisti un trattamento in linea con la procedura di sovraindebitamento, già operabile oggi, ma solo a istanza del debitore. Con la riforma, l’iniziativa sarebbe anche del creditore», spiega. Il giudizio sulla riforma è positiva, anche nella considerazione del fatto che ormai molti studi hanno dimensioni paragonabili a quelle di un’azienda. Anche se avverte: «Bisognerà vedere come i decreti delegati interpreteranno poi lo schema tratteggiato dal ddl. Purtroppo l’esperienza con le modifiche in tema di procedure concorsuali susseguitesi negli ultimi anni non è brillantissima: più che una riforma meditata, è stato un percorso “trial and error” in cui s’è visto (e detto) tutto e il contrario di tutto». Dunque l’impianto generale è promosso, ma si attende la concretizzazione.

Amministrazione straordinaria da rivedere
Vede in positivo l’evoluzione normativa anche Daniela Andreatta, special counsel di Orrick. «Penso che l’estensione della disciplina dell’insolvenza anche agli studi professionali sia positiva e ancora di più lo sarebbe se venisse finalmente sdoganata la legge sulle società professionali». I vantaggi della procedura di insolvenza, ricorda, sono duplici: da un lato consente ai creditori un’ordinata liquidazione dei beni del debitore in caso di insuccesso dell’attività, evitando così l’arrembaggio scomposto sul patrimonio tipico dei momenti di crisi; dall’altro lato consente al professionista debitore di sdebitarsi una volta liquidati i beni. «A questo si aggiunge che in quanto soggetto fallibile il professionista potrà aderire agli strumenti di composizione della crisi (vuoi concordato, vuoi composizione da sovraindebitamento), che sono molto utili per raggiungere accordi con i creditori e superare la crisi». Guardando in prospettiva, Andreatta auspica due interventi: una riforma della parte penale in linea con la nuova legge fallimentare e una riforma dell’amministrazione straordinaria.

Occhio ai termini Filippo Chiaves, socio del dipartimento di contenzioso di Hogan Lovells, ricorda che il decreto, a fronte del discredito sociale legato al concetto di fallimento, stabilisce che d’ora in poi si parli di liquidazione giudiziale. «Questo perché con la riforma si punta a dar vita a un impianto legislativo unico, senza più distinzione tra la legge fallimentare applicata alle imprese e la recente legge sul sovra-indebitamento». Cosa questo comporterà per gli studi legali non è facile da prevedere, non solo perché muterà la definizione di soggetti «fallibili», ma anche perché il fallimento sarà una scelta residuale. «Il ddl infatti prevede una serie di misure volte a mantenere la continuità aziendale, arginando la liquidazione giudiziale solo ai casi in cui tale continuità non sarà davvero possibile», aggiunge Chiaves. Che ritiene prematuro esprimere un giudizio complessivo sulla riforma, pur ricordando i passi in avanti dovuti a una riorganizzazione strutturale di tutte le procedure concorsuali.
Tommaso Foco, counsel di Portolano Cavallo, saluta positivamente la parte della riforma che permette una composizione ordinata della crisi/insolvenza e la protezione contro azioni esecutive individuali. «Meno condivisibile», precisa, «è invece attribuire l’iniziativa di attivare la procedura di liquidazione anche ai creditori e al pubblico ministero». In un cantiere sempre aperto come il diritto fallimentare, l’avvocato invita a non trascurare il preconcordato (o concordato in bianco), introdotto nel 2012. «Un istituto che permette all’imprenditore in difficoltà di presentare una domanda di concordato, con riserva di presentare la proposta, il piano e la documentazione necessaria entro un termine fissato dal giudice», ricorda Foco. Che in merito si sarebbe atteso una misura volta a prevenirne gli abusi ai quali si è assistito in passato.  «Un possibile intervento avrebbe potuto essere, per esempio, quello di consentire ai creditori di sostituirsi al debitore presentando domanda di preconcordato», sottolinea.

Stralcio in vista? Il dibattito parlamentare potrebbe portare a dei cambi di rotta in corso d’opera, come spesso è accaduto in passato su questi temi. PierDanilo Beltrami di Lombardi Segni e Associati auspica che il legislatore estrapoli dalla legge fallimentare le norme relative agli accordi di ristrutturazione dei debiti e ai piani attestati di risanamento, per disciplinarli con un autonomo provvedimento legislativo distinto rispetto alla legge fallimentare. «Il fatto che la loro disciplina sia attualmente contenuta nella bankruptcy law comporta che le stesse siano percepite, soprattutto dagli operatori stranieri, come procedure concorsuali e non come forme di ristrutturazione di imprese in bonis, e che l’impresa sia considerata dall’esterno come prossima all’insolvenza e non già in uno stato di mera crisi», argomenta. Questo si porta dietro un altro possibile intervento. «Andrebbero anche disciplinate le modalità di uscita da queste procedure per quelle imprese che adempiano le obbligazioni assunte con gli accordi di ristrutturazione omologati, prevedendo adeguati meccanismi di pubblicità».

Alla prova del mercato Stefano M. Cima, partner di Eversheds Sutherland, non ha dubbi: «Il fatto che il ddl delega alla riforma fallimentare estenda agli studi professionali la possibilità di fallimento comporta che i professionisti che decideranno di darsi una forma associata o organizzata di tipo imprenditoriale dovranno confrontarsi con il mercato. Ritengo che si tratti di un’iniziativa condivisibile e positiva». L’auspicio di Cima è che si proceda in parallelo con una riforma più generale che da un lato preveda dei termini di pagamento perentori a favore della generalità dei creditori, estendendo una pratica che, con un certo successo, è stata inserita nel settore alimentare. E dall’altro con una maggiore tutela del creditore nella fase di recupero del suo credito, per esempio estendendo i termini per l’esercizio delle azioni revocatorie. Vi è una generale approvazione anche da parte di Mauro Battistella, partner di Cms, che ricorda come la riforma allinei l’Italia ai più avanzati ordinamenti stranieri, e in particolare quelli di common law, che da tempo prevedono l’administration e la bankruptcy anche per gli studi professionali, come per tutte le altre strutture organizzate aventi rilevanti dimensioni. «Proprio nel mese di gennaio in Uk uno studio legale internazionale importante (King & Wood Mallesons’ European arm, ndr) ha richiesto l’ammissione a una procedura concorsuale prevista dalla legge fallimentare inglese», spiega. «Del resto anche la Suprema Corte italiana da anni differenzia la posizione degli avvocati che esercitano singolarmente (o in piccoli studi associati) la professione, rispetto alle strutture di maggiori dimensioni, per esempio in tema di privilegio sul pagamento delle parcelle nei casi di fallimento». Ma avverte: «La previsione è positiva nella misura in cui si accentuano le misure atte a prevenire e gestire la crisi dell’impresa. Altrimenti è inutile».

Focus sul credito erariale Andrea Girardi, partner e manager dello studio Girardi, ritiene che a questo punto si debba proseguire nel processo di riforma con un intervento organico sul credito erariale, prevedendo iniziative del debitore anche in seno al piano di risanamento attestato. «Oggi capita di dover escludere tale strumento, che pure ha molteplici vantaggi, per l’impossibilità di coltivare l’interlocuzione con l’amministrazione finanziaria, disponibile invece nello spazio della transazione fiscale», racconta.
Infine Giuseppe Cattani, partner di Fdl Studio Legale e Tributario, invita a monitorare i lavori in corso alle Camere. «Sarà importante che il testo definitivo della legge assicuri una procedura preventiva efficace, che responsabilizzi gli organi di controllo delle imprese, sia interni all’azienda sia pubblici (Inps e Agenzia delle entrate) a segnalare le situazioni a rischio di default, garantendo una maggior tutela del credito attraverso strumenti stragiudiziali di composizione assistita della crisi». A questo proposito ritiene molto interessante la previsione di meccanismi premiali per gli imprenditori che si rivolgeranno precocemente alle procedure di allerta o di risoluzione concordata della crisi.

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