Le nuove sfide dell’industria 4.0

La digitalizzazione genera lavori innovativi e pone interrogativi su come le norme possano adeguarsi a essi. Per meglio promuovere la formazione, il merito e la compartecipazione tra le parti sociali. Le Fonti Legal ne ha parlato in una tavola rotonda con i migliori giuslavoristi e fiscalisti

E’ passato poco più di un anno dalla presentazione del Piano Nazionale Industria 4.0 da parte del Governo, ma già molte questioni sono oggetto di profonda riflessione.
[auth href=”https://www.lefonti.legal/registrazione/” text=”Per leggere l’intero articolo devi essere un utente registrato.
Clicca qui per registrarti gratis adesso o esegui il login per continuare.”]Con l’obiettivo ultimo del Piano, che è quello di portare a una produzione quasi integralmente basata su un utilizzo di macchine intelligenti, interconnesse e collegate ad internet, inevitabilmente numerosi lavori cambieranno la loro natura e nasceranno nuove mansioni in linea con il processo di digitalizzazione. E di conseguenza, anche il diritto del lavoro dovrà adeguarsi a tale cambiamento. In che modo? Creando nuove norme o “svecchiando” quelle esistenti? Di sicuro l’impianto normativo attuale è, a detta di molti esperti, da rivedere in termini di inquadramento, contrattualistica e rapporti tra datore e lavoratore; è necessario superare i vecchi criteri di valutazione e la visione distorta per cui la prestazione viene pagata con un prezzo proporzionale all’utilità e resta legata ad orario e presenza fisica in ufficio, orientando la normativa, giuslavoristica e fiscale, verso l’incentivazione del merito, della formazione e dell’innovazione. In questo contesto, cambia anche il ruolo dei sindacati: il panorama delle relazioni industriali dovrà adeguarsi ai nuovi modelli, favorendo la compartecipazione piuttosto che la contrapposizione di interessi conflittuali. Si tratta di un’evoluzione del mondo del lavoro per nulla semplice, di un vero e proprio cambio di mentalità culturale, che vede l’Italia indietro rispetto ad altri Paesi.
Di tutto questo, si è discusso durante un confronto organizzato da Le Fonti Legal, tenutosi presso la sede di Le Fonti, dal titolo «L’industria 4.0 fra incentivi di attuazione e nuove modalità di lavoro all’orizzonte». Moderato da Angela Maria Scullica, direttore responsabile delle testate economiche di Le Fonti, ha visto la partecipazione di Stefano Salvadeo di Bernoni Grant Thornton, Marcello Giustiniani di BonelliErede, Enrico Boursier Niutta di Boursier Niutta [&] Partners, Giampiero Falasca di Dla Piper, Gabriele Fava di Fava & Associati, Francesco Simoneschi di Gatti Pavesi Bianchi, Sergio Barozzi di Lexellent, Michele Aprile di Ludovici Piccone & Partners, Giovanni Beretta di Studio Persiani, Andrea Lo Presti di Russo De Rosa Associati, Paola Pucci di Toffoletto De Luca Tamajo e Soci, Tommaso Targa di Trifirò & Partners, Olimpio Stucchi di UnioLex – Stucchi & Partners e Patrizio Bernardo di Delfino Willkie Farr & Gallagher.

Qual è lo scenario sotto il profilo della contrattualistica e dell’occupazione?
Falasca Quello dell’industria 4.0 è un tema solo apparentemente nuovo, in realtà siamo già molto in ritardo. È già da qualche anno che siamo travolti dalla rivoluzione digitale, è la politica ad essersene accorta tardi rispetto a quanto realmente avviene. Bisogna che il legislatore si chieda come adeguare il quadro normativo. Sono cambiati i concetti di spazio, tempo e modalità del lavoro con una maggior attenzione ai risultati. La flessibilità sui luoghi di lavoro, il controllo a distanza dei lavoratori, il bisogno di regolare i tempi di connessione e disconnessione digitale, sono tutte questioni aperte e anche i contratti collettivi dovrebbero rendersi conto che non siamo più nell’era fordista, la sfida è andare ad accordare la distanza enorme che la rivoluzione digitale ha creato tra le regole e la realtà del mondo del lavoro.
Giustiniani L’industria 4.0 ha a monte un tema più grande: quanto e quale lavoro ci sarà e per chi. Globalizzazione e digitalizzazione esasperano la polarizzazione tra coloro i quali hanno specifiche capacità e competenze e coloro che non ne hanno. Se in passato i capaci e competenti avevano comunque bisogno di “manovalanza” per raggiungere i propri risultati in termini di profitto, il progressivo sostituirsi della macchina a coloro che sono portatori di competenze inferiori, genera appunto crescenti livelli di polarizzazione nella distribuzione della ricchezza. A maggior ragione, bisogna dunque ingegnarsi per capire quale lavoro, e come organizzato, possa fungere da complemento al digitale creando valore per le aziende e rispondendo al contempo alle esigenze di pace sociale. Si tratta peraltro di una grande opportunità per ripensare il concetto stesso di lavoro, superando la visione per cui la prestazione viene pagata con un prezzo proporzionale all’utilità che ne deriva a chi paga la retribuzione. Lo Stato potrebbe indirizzare risorse ed energie crescenti alla individuazione, al sostegno e alla valorizzazione di lavori, nuovi e meno nuovi, utili e funzionali alla società nel suo complesso, che potrebbero essere svolti da chi abbia perso il proprio lavoro tradizionale. Sarebbe però indispensabile puntare, anche in questa riconversione delle risorse umane ai nuovi lavori ed alle nuove tecnologie, come del resto, più in generale, in ogni riconversione legata alla modernizzazione, sulla meritocrazia, anziché su anzianità ed automatismi, privilegiando chi mostra disponibilità ed attitudine al cambiamento e dando spazio, in particolare nell’attività di riqualificazione, ad una stretta collaborazione tra pubblico e privato.
Barozzi Non è vero che all’aumento della digitalizzazione c’è una diminuzione occupazionale, mi sembra l’opposto. Nemmeno i mestieri di un tempo sono scomparsi né mi sembra che le ore di tempo libero siano aumentate. Credo sia la retribuzione il problema centrale del lavoro nell’ambito dell’industria 4.0 perché completamente slegata dalla produttività. Dobbiamo ripensare al fatto che la produttività non ha a che fare con l’età, dovremmo liberarci da sistemi retributivi che prevedano uguale compenso per tutti, che siano flessibili e più congeniali al lavoratore.

Su quali risorse è necessario puntare per essere al passo col cambiamento?

Pucci Quello che oggi fa la differenza sono i dati, i cosiddetti big data e soprattutto gli analytics, capaci di ricavare valore dai dati in un modo più veloce e certo di quanto può fare un lavoratore. Nell’ambito del lavoro questo significa che le persone vanno formate, la scuola va ripensata. Un’agevolazione potrebbe essere la creazione di incentivi fiscali non legati solo a determinate categorie di persone. Per quanto riguarda l’impianto normativo, non sono convinta siano necessarie nuove norme, ce ne sono già a sufficienza, è necessario svecchiare determinati meccanismi per renderli più flessibili.
Stucchi Il tema dell’industria 4.0 non riguarda tutte le aziende, può essere applicata solo a determinati contesti lavorativi e questo dovrebbe farci pensare dunque che alcune realtà resteranno invariate. Bisogna riconsiderare il lavoro in relazione al suo risultato, facendo venir meno la classica obbligazione di mezzi che si traduce nel pagamento delle ore di lavoro. Il self employment ad esempio, è molto più congeniale al futuro digitale verso cui ci avviamo, e per la sua flessibilità sarà inevitabilmente orientato al risultato. La società digitale porta con sé un must che oggi non è abbastanza considerato: la scuola.  L’Italia è incredibilmente in ritardo sulla pianificazione digitale e dunque, anche il cambiamento, se ci sarà, arriverà in ritardo. Gli incentivi già ci sono ma sono solo una delle leve necessarie, quella determinante è composta dal capitale umano formato.
Boursier Niutta La parte del piano nazionale Industria 4.0 concernente specificamente gli aspetti giuslavoristici reca il titolo “Salario di Produttività”. È evidente pertanto, l’intento di incidere sulle politiche retributive al fine di accrescere la competitività delle aziende del nostro Paese. Tuttavia, dalla lettura del sottotitolo, “Incrementare il salario per recuperare produttività”, sembra quasi che il Piano sia poco ambizioso. Il sistema, infatti, mira alla rimodulazione delle politiche retributive  (soprattutto con incentivi legati a piani di welfare aziendale ed all’impiego di forme flessibili di lavoro in grado di soddisfare le esigenze della vita privata dei lavoratori), ma solo per la parte incrementale del salario, quindi su quel delta tra il salario oggi percepito dai lavoratori e l’ulteriore retribuzione che le aziende saranno disposte a riconoscere al fine di ottenere, in cambio, un aumento della produttività. Si sarebbe potuto osare di più! E per far ciò, tra l’altro, si potrebbe innestare la rivoluzione delle politiche retributive sullo stesso principio della “giusta” retribuzione. L’articolo 36 della Costituzione impone che la retribuzione sia proporzionata alla quantità ed alla qualità del lavoro svolto. Sino ad oggi la quantità del lavoro è correlata al tempo lavorato, mentre la qualità è parametrata unicamente alla tipologia di mansioni espletate. Se, invece, il parametro della qualità del lavoro fosse letto in maniera, per così dire, dinamica, così estendendolo fino a ricomprendervi il concetto di produttività reale, si farebbe un vero passo in avanti. Inutile dire che il perno di questo cambiamento non può che essere il contratto collettivo che dovrebbe “codificare” i criteri per misurare il diverso modo di intendere la qualità del lavoro prestato. Uno dei punti dai quali partire, credo sia la formazione endoaziendale. Bisogna superare l’anacronistico atteggiamento di molte aziende che considerano le ore dedicate dal lavoratore a formarsi come tempo sottratto all’azienda: un lavoratore formato è una risorsa preziosa perché accresce la produttività dell’azienda e di questo debbono persuadersi anche i datori di lavoro.
Fava Non è corretto parlare di rivoluzione industriale, è solo un adattamento dell’industria ai mercati odierni. Parlare di industria 4.0 significa quindi aggiornare i propri sistemi industriali e sta già avvenendo da tempo. Ciò che possiamo fare è pensare alle competenze ed una soluzione potrebbe essere portare le imprese a scuola, insegnare ai ragazzi quali sono i nuovi mestieri. Il tessuto scolastico non va stravolto, va attualizzato, aggiornato. Non bisogna dimenticare che dati empirici ci dicono che il nostro sistema scolastico è il migliore al mondo. Lo schema vincente dal punto di vista pratico è quello che vede partnership tra pubblico e privato.

Si può dire dunque che vi sia la necessità di adeguare il tessuto normativo anziché ampliarlo ulteriormente?
Beretta Io credo che negli ultimi anni siano andate perse molte occasioni per le imprese. Gli unici interventi legislativi produttivi di un qualche effetto sull’occupazione, sono stati esclusivamente quelli connessi ad immediati e diretti benefici economici. Diversamente, quelli che incidevano esclusivamente su rapporti di lavoro sono rimasti inattuati. In particolare, a mio avviso, sempre volendo limitare l’analisi agli ultimi anni, un’occasione persa è quella del contratto a chiamata: una nuova tipologia contrattuale che poteva avere un’attuazione immediata e flessibile se non avesse incontrato l’atteggiamento ostile dei sindacati.
Bernardo Ciò che contemporaneamente affascina e spaventa è la velocità sempre maggiore del cambiamento dei fattori e dei processi produttivi indotta dal progresso tecnologico, una velocità che sta innescando meccanismi di polarizzazione del mercato del lavoro molto più accentuati che in passato, dove gli strumenti di formazione continua avranno un ruolo sempre più decisivo in chiave di tutela occupazionale. Penso, ad esempio, ai sistemi di classificazione del personale ai fini economico-normativi degli attuali contratti collettivi nazionali di lavoro, che dovranno essere in grado di cogliere anche modi di lavorare meno gerarchizzati, fortemente accentrati sui saperi, indipendentemente dal driver della anzianità di servizio in azienda (si guardi ad esempio a cosa avviene all’interno delle start-up innovative). Fondamentale, poi, sempre in questa ottica, sarà sapere agganciare, molto più di quanto già ora avviene, la retribuzione a meccanismi di valutazione della produttività e della qualità, indipendenti anche dalla quantità del lavoro stesso (e qui il riferimento è alla disciplina attuale dello smart working).
Su questi terreni è evidente la difficoltà di adeguamento delle logiche della contrattazione collettiva nazionale e l’aprirsi di diverse sfide su come gestire le ricadute del progresso che stiamo vivendo all’interno del mondo del lavoro.
Targa Prima di interrogarci su nuove forme di lavoro e interventi normativi necessari, dovremmo affrontare prima una rivoluzione culturale. Il nostro è un Paese che demonizza il lavoro autonomo, tutte le proposte di riforma che si stanno preparando sono orientate al lavoro subordinato, ritenuto la panacea di tutti i mali. Finché si ragionerà in questo modo, applicando criteri vecchi di valutazione, non vi sarà un vero progresso. Bisogna muoversi verso forme retributive che premino il merito e che si allontanino da una retribuzione legata all’orario, slegate dalla presenza in ufficio quale garante del proseguimento del rapporto di lavoro. Chiaramente è necessario pensare anche alla tutela di coloro che non hanno un alto livello di produttività ed in tal senso sarebbe ragionevole pensare ad un reddito di cittadinanza.

Stiamo dunque andando incontro ad un mondo lavorativo polarizzato. Come si pongono i sindacati di fronte ad una situazione di questo tipo?

Simoneschi È opportuno chiedersi cos’è realmente l’industria 4.0. Non è solo digitalizzazione dei sistemi produttivi ma anche connessione degli stessi e ciò impone una radicale revisione di tutti i processi di lavorazione e organizzazione delle aziende.  Il superamento di uno schema tradizionale, sia pur digitalizzato, presuppone il cambiamento e l’adozione di schemi organizzativi e di lavoro del tutto diversi ed autonomi rispetto a quelli che siamo abituati a gestire. Basti pensare alle nuove forme di lavoro che, pur essendo distanti dal comune rapporto di lavoro datore di lavoro-lavoratore, rimettono in discussione i classici schemi e impongono una riflessione diversa su quali saranno gli istituti futuri del diritto del lavoro. Gli studi ci dicono che il 65% dei bambini che oggi si avviano alla scuola primaria, andranno a ricoprire mansioni che adesso non esistono, dunque dobbiamo concentrarci sugli strumenti formativi ora disponibili per preparare le persone ad un modello organizzativo futuro diverso dal nostro.
Fava I sindacati dovrebbero capire che abbiamo tutti un obiettivo comune, bisogna leggere il mercato ed intercettare le opportunità che possono essere utili alle imprese e di concerto all’occupazione.
Stucchi Industria 4.0 significa digitalizzazione dei processi industriali ed eventualmente anche aziendali, in senso più lato. Può quindi applicarsi a determinati contesti lavorativi suscettibili di digitalizzazione, mentre altri di struttura più tradizionale resteranno invariati. Nell’industria 4.0 il lavoro dovrà necessariamente fare i conti con un ambito operativo nuovo, dove il lavoro si svolgerà spesso a distanza per luogo e tempo e dove quindi assumeranno maggiore rilievo i risultati, piuttosto che il solo tempo lavoro, rendendo così obsoleto la struttura classica “salario=ore lavoro”. Il self employment appare perciò molto più congeniale al futuro digitale verso cui ci avviamo, anche per via della flessibilità in esso insita e nel maggiore orientamento al risultato.
La società digitale, tuttavia, porta con sé un must, che prescinde dai meri fattori tecnologici o normativi: il capitale umano formato e quindi la scuola.  L’Italia è incredibilmente in ritardo su questo tema ed anzi proprio dalla scuola pervengono in questi giorni spinte di segno contrario. Gli incentivi economici al lavoro già ci sono ma sono solo una delle leve necessarie per la buona riuscita del piano, quella determinante è composta dal capitale umano formato. La rivoluzione digitale dovrà toccare anche la realtà delle relazioni industriali, orientando le rappresentanze dei lavoratori verso modelli nuovi, maggiormente incentrati sulla compartecipazione piuttosto che sulla contrapposizione di interessi conflittuali. Le relazioni industriali dovranno quindi orientarsi verso obiettivi comuni che non potranno più riguardare solo gli azionisti, ma anche i lavoratori ed ogni fattore coinvolto. Le novità che l’industria 4.0 pone sul tavolo andranno perciò affrontate in un quadro di massima nazionale da declinare su base necessariamente aziendale, che poi è la più prossima ai cambiamenti effettivi e la più congeniale a trovare il giusto assetto per gli interessi in gioco.

Dal punto di vista degli incentivi fiscali, come si sta muovendo il sistema?

Salvadeo Sono d’accordo su quanto detto riguardo all’industria 4.0, che considero un’operazione che sta riallineando la nostra industria ad una realtà più avanzata e trasversale. Aver incrementato la base di detraibilità e stato un grande incentivo equivalente ad aver accorciato il periodo di ammortamento. Non sono certo invece che, il semplice incentivo fiscale, senza tassi prossimi allo zero tipico di questo periodo sarebbe stato sufficiente. Dietro l’industria 4.0 c’è un necessario avvicinamento delle imprese e del nostro sistema alla modernità. Prima di tutto è un cambiamento culturale e di mentalità. Per sostenere le imprese, è necessario chiedersi da dove attingere le risorse. La riduzione della fiscalità è senz’altro importante ma credo che bisogni puntare anche sulla semplificazione e sulla stabilità normativa perché il nostro quadro normativo rimane ancora complesso. Migliorarlo potrebbe significare attrarre degli investitori esteri in misura maggiore. La vera sfida, dopo un generale rinnovamento della nostra industria, è scegliere su quali nicchie di industrie puntare per rilanciare l’economia italiana.
Aprile Gli incentivi sono senz’altro utili e opportuni ma sono comunque ravvisabili delle criticità che rischiano di comprometterne l’efficacia. Innanzitutto occorre rilevare che la normativa sul super ed iper ammortamento concede un beneficio solo per acquisti effettuati in un determinato periodo di tempo e tale aspetto non tiene conto del fatto che, in un sistema imprenditoriale come il nostro, composto perlopiù da pmi con limitate disponibilità finanziarie, investimenti importanti in un lasso di tempo circoscritto non sono così facili da programmare e realizzare. Inoltre, tenuto conto che l’adozione di tecnologie 4.0 comporta in molti casi una vera e propria riorganizzazione dei processi produttivi, sarebbe stato utile prevedere uno specifico credito di imposta a favore delle imprese che realizzano veri e propri progetti di trasformazione industriale in chiave 4.0. Un ulteriore aspetto critico riguarda le modalità di sostegno finanziario alle imprese in quanto, in un quadro economico come quello italiano, caratterizzato da una struttura produttiva sempre più polarizzata tra aziende medio grandi relativamente competitive e una significativa parte di pmi con evidenti difficoltà di accesso al credito, sarebbe stato auspicabile prevedere una differenziazione degli incentivi previsti in funzione di diverse tipologie di aziende destinatarie.
Lo Presti Mi sembra che sulla qualità delle agevolazioni dell’impresa 4.0, rispetto ad altre forme di agevolazione (Patent box, Bonus Sud) siano stati fatti passi avanti in termini di certezza della attribuzione del beneficio, orizzonte temporale sufficientemente ampio e semplificazione nella modalità di computo. Traspare la scelta del legislatore di favorire, attraverso la destinazione delle limitate risorse a disposizione, l’investimento in capitale, per recuperare il gap tecnologico nei confronti di altri Paesi, rispetto a quanto invece fatto in passato, quando la priorità sembrava più che altro la detassazione del costo del lavoro. L’effetto che si potrà verificare è, in prospettiva, l’espulsione di un determinato numero di persone dal mercato del lavoro. La spinta verso una maggiore automazione potrebbe peraltro rendere possibile il rientro in Italia di produzioni ad alto tasso di intensità di lavoro, che erano state delocalizzate. Diventa fondamentale, ed in questa direzione sta andando la politica del Governo, incentivare anche la formazione e l’aggiornamento di quanti dovranno imparare ad utilizzare le tecnologie previste dal Piano Nazionale.

Quali sono quindi gli aspetti più critici che vanno affrontati per primi?

Stucchi Senz’altro la formazione del capitale umano, procedere solo attraverso incentivi economico finanziari destinati ad esaurirsi in brevi periodi e fini a se stessi, non condurrà ad un vero cambiamento duraturo nel tempo e portatore di benefici.
Giustiniani Il supporto e la trasformazione digitale delle pmi, l’85% di esse ad oggi ancora si apre al cambiamento. Ed ancora, vanno sostenute le start up innovative, che non assecondino chiunque abbia un’idea ma agevolino in modo mirato progetti meritevoli.

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