Non basta un segno rosso

Crescono le misure legislative per prevenire la violenza sulle donne, ma resta ampio il gap tra le garanzie dell’indagato e quelle della vittima. E manca in Italia la certezza della pena.

A fine novembre, il Governo ha dato il via libera al disegno di legge “Codice Rosso”, che contiene misure per una più rapida ed efficace tutela delle donne vittima di violenza.

Un passo avanti, questo, rispetto a un tema tra i più discussi, sia dai media che dall’opinione pubblica.

Ne parla a Le Fonti Legal Alessia Sorgato, fondatrice dello Studio Legale Sorgato e dal 2011 penalista di riferimento di centri antiviolenza, sportelli anti-stalking e onlus dedite alla protezione di donne e bambini.

Il “Codice Rosso” contiene misure per una più rapida ed efficace tutela delle donne vittima di violenza. Cosa ne pensa?

Qualsiasi iniziativa che svecchi il sistema è benvenuta: il nostro processo penale ha compiuto trent’anni e si ispira a impostazioni molto, troppo garantiste. Chi subisce un reato pare avere un ruolo durante le indagini, ma tende ad essere relegato a margine nel prosieguo. Il Codice Rosso stabilisce di ascoltare la vittima entro tre giorni dalla denuncia. Idea apprezzabile perché mira al contatto diretto, umano, col giudice. Mi domando però cosa la vittima potrebbe aggiungere al contenuto di una denuncia così recente.

Oltre al Disegno di Legge sopracitato, lei stessa ha presentato, di recente, alla biblioteca del Senato 2 dei 14 disegni di legge che ha scritto, di cui uno è già stato protocollato e l’altro è già passato alla Camera.

Sono proposte nate dall’esperienza concreta, quindi estremamente aderenti ai bisogni delle vittime. Questi due, che sono solo i primi, rappresentano un po’ l’alfa e l’omega della questione. Il primo modifica l’art. 110 disp. att. c.p.p. sugli obblighi di comunicazione dei dati iscritti nel Registro delle notizie di reato. Ogni iscrizione ed ogni successiva integrazione dovranno essere immediatamente trasmesse al Centro elaborazione dati istituito presso il Ministero dell’Interno. Le Forze dell’Ordine avranno subito l’informazione e potranno agire tempestivamente. Il secondo torna, come in origine, ad inibire il rito abbreviato quando si procede per delitti puniti con l’ergastolo, e vieta di ritenere le circostanze attenuanti prevalenti o equivalenti alle aggravanti di cui all’art. 61 n. 1 (motivi abietti e futili) e 4 (sevizie e crudeltà).

Quanti passi avanti sono stati fatti, a suo parere, negli ultimi anni, per tutelare le donne?

Il nostro legislatore ha firmato e dovuto ratificare la convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica e la Convenzione europea sul risarcimento delle vittime di reati violenti. E’ stata poi innovata la prassi ospedaliera, prevedendo che la vittima sia visitata subito e con discrezione assoluta. Queste ci sono piaciute ma sono davvero ancora l’ABC. Resta ancora sperequata la posizione processuale e assolutamente risibile il sistema del risarcimento di Stato.

Cosa ne pensa dei Convegni e Programmi televisivi che hanno come obiettivo la sensibilizzazione delle persone sul tema? Si potrebbe fare di più?

Partecipo sempre volentieri ai Convegni ed alle trasmissioni, amo andare nelle scuole, nelle sale consiliari e agli incontri organizzati dalle amministrazioni locali. Si insegna ma soprattutto si apprende molto. Ho però la brutta sensazione che siano sempre meno seguìti. Temo che le donne stiano perdendo fiducia nell’efficacia delle azioni dello Stato.

Il reato di stalking e quello di molestia costituiscono due fattispecie distinte. Quale è il confine tra i due e quali i canali di denuncia?

La molestia è una semplice contravvenzione e chi la commette può cavarsela con un’oblazione da 258 euro.

Lo stalking è più grave ma arduo da dimostrare l’evento, ossia cosa il comportamento dello stalker abbia provocato nella sua vittima. Non spetta alla vittima conoscere la differenza: deve andare in commissariato e raccontare: spetta al PM la qualificazione corretta.

In che modo la legislatura italiana si differenzia rispetto a quella di altri paesi europei rispetto a questa tematica?

In Gran Bretagna, per esempio, è attivo un servizio molto stretto sulla vittima: le trova lavoro, le sistema i figli, procura una casa (pensiamo a quante delle nostre scappano dalle amiche e soprattutto quante restano lì, a farsi maltrattare, perché non sanno dove andare o, peggio, rifiutano la comunità o la casa rifugio).

Che tipo di approccio deve adottare un avvocato come Lei che si occupa di casi di violenza sulle donne e quali sono le peculiarità del suo ruolo in questo senso?

Sono almeno otto anni che mi dedico alla difesa delle vittime, ma in passato, per altri dodici anni, ho difeso gli accusati: tra le due parti ci sono differenze abissali però il ruolo dell’avvocato non deve cambiare. Le vittime di violenza spesso sono nervose, insicure, impaurite: il sostegno psicologico è previsto per legge ma sono i centri, anche ospedalieri, a fornirlo gratuitamente o a prezzi irrisori.

Il nostro compito è spiegare ogni passaggio del procedimento, illustrare tempistiche ed eventualità, fungere da raccordo tra vari enti. Serve molta esperienza processuale, empatia umana e risorse economiche accumulate in passato (i pagamenti da parte dello Stato delle fatture in gratuito patrocinio sono lenti e davvero irrisori).

A cura di Alessia Rosa

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