“La nostra strada per battere la concorrenza”

Il cofondatore, Filippo Troisi, illustra il modello di business e le strategie di governance dello studio legale Legance, che puntano su istituzionalità, indipendenza e interdisciplinarietà

Tutto è cominciato il 1° dicembre 2007 quando, da uno spin off di Gianni Origoni Grippo & Partners, è nato Legance, una nuova realtà partita con 84 professionisti, tra cui 23 soci. Oggi, a distanza di 9 anni, l’insegna rappresenta uno degli studi più noti sul mercato dei servizi legali con un fatturato e un team che,
[auth href=”https://www.lefonti.legal/registrazione/” text=”Per leggere l’intero articolo devi essere un utente registrato.
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Legal ha intervistato Filippo Troisi, cofondatore, che ha illustrato la strategia, le attività e i progetti che hanno consentito allo studio di difendersi e imporsi su un mercato, quello legale, non sempre facile, in anni in cui la crisi economica finanziaria mondiale non ha risparmiato neppure le insegne più consolidate.
Qual è attualmente l’andamento del mercato legale nel suo complesso? C’è chi parla ancora di difficile ripresa…
Non sono affatto d’accordo con chi dice che il mercato attuale sia un mercato in crisi. Superati gli anni difficili, ritengo che negli ultimi 18 mesi si stia consolidando un trend che si è andato man mano rafforzando negli ultimi anni. Quello di un mercato in movimento, che ha ripreso a correre, un mercato che ha dato e dà dei segni di grande attività. Noi avvocati, come operatori e osservatori privilegiati, vediamo tanta liquidità in circolazione che, per fare un esempio, ha riportato in vita i fondi di private equity che fino a qualche anno fa erano del tutto scomparsi. 

Che cosa può aver favorito questo rilancio?
Le riforme messe in atto dal governo, indipendentemente dall’orientamento politico di appartenenza di ognuno, hanno avuto il privilegio di movimentare il mercato in vari comparti. In primis il Jobs act che, seppure con tutte le sue incertezze, ha senza dubbio favorito il ritorno degli investimenti esteri nella penisola, grazie a una maggiore flessibilità del mercato del lavoro che ha infuso negli stranieri una maggiore tranquillità nella possibilità di investire in Italia; anche le riforme nel mondo bancario stanno creando una serie di opportunità rilevanti per gli stessi istituti e per noi avvocati. Basti pensare agli aumenti di capitale, alle cessioni degli Npl’s e alla riforma delle banche cooperative con cui questi istituti possono trasformarsi in Spa o aggregarsi creando delle importanti entità. Un esempio su tutti, la fusione tra Banca popolare di Milano e Banco popolare. Io credo che non si possa affatto parlare di staticità del mercato. Certo è che, solo chi ha saputo porsi con competenze, ne ha decisamente raccolto i frutti. 

Che biennio è stato, invece, per Legance quello che sta per chiudersi?
Un biennio record. Anzi, guardando più indietro, un quinquennio record. I numeri lo confermano. Sono cinque anni che superiamo la quota di fatturato e utili dell’anno precedente. Abbiamo chiuso il 2015 con un fatturato di 69 milioni di euro crescendo del 17% rispetto al 2014 e aumentando le nostre risorse di circa l’11%. Quest’anno prevediamo di chiudere a 74 milioni di euro. Non mi è difficile affermare che, contro ogni previsione data dalla crisi finanziaria in corso nei nostri primi anni di vita, siamo felicemente andati controcorrente rispetto all’economia globale. 

Quali sono stati i comparti di attività che più hanno trainato il vostro fatturato negli ultimi 18 mesi?
Direi un paio più di altri. Il private equity è stato molto importante; in questo segmento di mercato seguiamo alcuni del fondi più noti, come Apax e Permira, Blackstone e Fortress; aggiungerei anche il settore bancario e assicurativo, dove mi sento di citare un’operazione su cui abbiamo lavorato con successo per 18 mesi e che ci ha visto al fianco di Fortress nell’acquisizione dell’intera partecipazione di UniCredit in UniCredit Credit Management Bank spa(ex Uccmb), incluso un portafoglio di sofferenze per circa 2,4 miliardi di euro. 
 
Parliamo di settori industriali. Nel 2015 avete partecipato a due eventi legati al food, sia come relatori che come organizzatori del Food Law Forum nel mese di aprile. Ci sono altri settori su cui pensate ci siano opportunità di business?
Come strategia interna, noi cerchiamo di dare visibilità e creare opportunità a settori dove l’Italia eccelle. Il food è uno di questi, ma non l’unico. Abbiamo anche partecipato a fine 2015 al Wine2Wine, un forum sul business del vino a Verona, dove abbiamo organizzato un seminario sulle forme di finanziamento diverse dalla quotazione, per spiegare agli interessati come rendere la struttura finanziaria d’azienda più solida in un settore, quello vitivinicolo, potenzialmente in crescita. Inoltre, a maggio di quest’anno abbiamo organizzato in studio un seminario sugli strumenti finanziari per la crescita nel settore agroalimentare. Questi forum sono dedicati prevalentemente alle Pmi e il nostro scopo è di aiutarle nella crescita. Aggiungo che ogni anno, con il patrocinio dell’Ambasciata italiana a Londra organizziamo un Forum rivolto agli investitori stranieri a Londra interessati al mercato immobiliare italiano. Questo è un modo per mostrare ai “potenti” del real estate, cosa sta facendo il paese e le opportunità di sviluppo nel settore. Infine, ormai da diversi anni organizziamo ogni primavera, presso l’ambasciata di Londra, un evento rivolto agli investitori internazionali in Italia e al mercato italiano in generale. Dunque posso con certezza affermare che il nostro studio, al di là del food, investe su diversi settori industriali in cui l’Italia è ai primi posti e che riteniamo possano creare business. 
 
Londra ricorre spesso nelle vostre iniziative, significa che la scelta nel 2012 di aprire una sede nella capitale inglese si è dimostrata strategica.  Quali sono stati i motivi che vi hanno spinto a farlo?
Due sono state le principali ragioni. La prima è legata al fatto che Londra è sempre stata ed è tutt’ora la capitale finanziaria europea. Tutti i maggiori gruppi bancari sono collocati nella City, così come i fondi più importanti. La seconda ragione attiene al fatto che a Londra c’è la comunità italiana di residenti all’estero più numerosa. Questo significa che, all’interno di essa, c’è un’alta percentuale di imprenditori e importanti figure apicali che potenzialmente possono investire e investono in Italia. Abbiamo pensato che essergli vicino sarebbe stata un’ottima mossa per avere un vantaggio competitivo rispetto alla possibilità di offrire consulenza in operazioni transfrontaliere che nascono dall’Inghilterra.

Con la Brexit cambieranno molte cose. Come vi siete organizzati dopo l’esito del referendum e in vista delle sue ripercussioni?
Abbiamo creato un gruppo di lavoro internazionale chiamato «Brexit team» formato da sei professionisti appartenenti alle diverse aree di attività dello studio. Il compito di questo gruppo è quello di monitorare il processo di uscita e le eventuali implicazioni dal punto di vista legale. Certo, per adesso la Brexit è solo annunciata, non è ancora iniziato il lungo percorso di uscita, perciò a oggi, nei fatti, rispetto al giorno prima del voto non è ancora cambiato nulla. Sappiamo solo che diventerà efficace seppur con dei tempi da rispettare. Noi nel frattempo ci siamo attrezzati, sebbene sia difficile stabilire cosa succederà dopo. 
È stato difficile insediarsi in un mercato legale, quello londinese, diverso dal nostro?
Noi a Londra siamo uno studio italiano che svolge il diritto italiano, il nostro diritto dunque. Abbiamo deciso di insediarci nella City solo per favorire il contatto con una serie di operatori italiani e non, presenti a Londra che necessitano di assistenza in operazioni che hanno come oggetto il mercato italiano. Dunque non siamo in competizione con gli studi legali inglesi. 

Parlando di competitività, qual è stata dunque la strategia che avete adottato fin dalla vostra fondazione e che vi ha permesso di raggiungere i risultati ottenuti?
Non c’è mai una risposta unica a una domanda del genere. Se dovessi scegliere la prima parola che mi viene in mente per rappresentare la nostra strategia, direi «istituzionalità». Noi abbiamo preso una decisione strategica dal primo giorno della nostra fondazione, decisione che è stata evidenziata dalla scelta del nome, di completa fantasia, che ci ha qualificato come primo studio in Italia a usare una denominazione astratta che non si legasse in alcun modo al nome di uno o più soci, come di frequente accade. Volevamo creare uno studio che si fondasse su un team e non su un singolo individuo o su una oligarchia di individui e che giocasse in squadra. Questa strategia è stata facilitata anche dal modo in cui lo studio è nato: non siamo una vera e propria startup, ma ci siamo scelti, abbiamo iniziato in 21 soci che avevano lavorato insieme per 15 anni quindi sapevamo di andare d’accordo stando uniti. All’istituzionalità aggiungerei altri due pilastri fondamentali: il primo riguarda la nostra natura di studio italiano indipendente che promuove, come già anticipato, le eccellenze del nostro paese e l’altro è la qualifica di studio full service, non focalizzato, quindi, su aree specifiche del diritto ma capace di offrire un servizio a 360 gradi. Infine, un altro elemento legato alla strategia che ci ha permesso di mettere in piedi un modello vincente, attiene al nostro impegno nel focalizzarci su clienti “sofisticati”, che riconoscono il valore del nostro lavoro. Mi spiego. Quando abbiamo la percezione che un cliente guardi allo studio legale come a una commodity dove chiunque è sostituibile con chiunque e ciò che conta è solo il prezzo più basso, riteniamo che non sia il cliente con cui intendiamo lavorare. Facciamo quindi un’accurata scelta del portafoglio che intendiamo assistere, nei confronti del quale sviluppare e investire il nostro tempo e la nostra funzione. 

Avete progetti futuri, per esempio aprire altre sedi?
Sin da quando siamo nati abbiamo creduto che un’eccessiva delocalizzazione degli uffici non portasse vantaggi specifici rispetto al servizio fornito al cliente e anzi potesse costituire un potenziale problema rispetto alla qualità del servizio. Avere solo due o tre uffici rende più facile fare una verifica di qualità e conformità del ruolo che si è svolto, mentre avere un numero eccessivo di locazioni ti fa perdere questo tipo di vantaggio. Per il futuro, al momento il nostro progetto principale è quello di consolidare le aree di mercato nelle quali siamo particolamente forti e sviluppare ulteriormente i segmenti di attività che ci possono dare importanti soddisfazioni. Ciò potrà avvenire sia con la crescita e lo sviluppo di risorse interne sia con, eventualmente, dei lateral hirings di alto livello. 

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