Covid-19: più che smart è home working

Bassa digitalizzazione di imprese e lavoratori, pesanti limiti legati alle infrastrutture del Paese e diffidenza da parte di imprenditori all’adozione di questa modalità di lavoro.

Sono le principali criticità, secondo i consulenti del lavoro, che stanno caratterizzando la sperimentazione, in corso su tutto il territorio nazionale, dello smart working per fronteggiare l’emergenza Coronavirus.

Si tratta del “test” più grande che sia stato condotto sul lavoro agile nel nostro Paese e che coinvolge 2 milioni 205 mila dipendenti, il 17,2% della forza lavoro in organico delle imprese italiane. L’indagine della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro “Non chiamatelo smart working. Il lavoro agile ai tempi del Coronavirus secondo i Consulenti del Lavoro”, è il secondo estratto di quella condotta tra il 23 e il 25 marzo 2020 su 4.463 iscritti all’Ordine.

Per i Consulenti del Lavoro a pesare è innanzitutto il basso livello di digitalizzazione del Paese, sia per l’indice di alfabetizzazione digitale di imprenditori e lavoratori (l’88,4% concorda che tale aspetto rappresenta un forte ostacolo per l’efficacia dello strumento), sia per le carenze delle infrastrutture tecnologiche (l’81,8% degli intervistati). Emerge anche un atteggiamento di diffidenza verso il lavoro agile da parte di larghi segmenti del tessuto imprenditoriale (79,3%) che non contribuisce alla sua diffusione in questa fase emergenziale. Guardando, poi, all’impatto prodotto dallo smart working sui processi lavorativi e ai suoi benefici, le valutazioni fornite appaiono complesse. Per il 74% degli intervistati le difficoltà di coordinamento a distanza dei gruppi di lavoro rallentano i processi decisionali e produttivi, creando disfunzionalità e inefficienza. Il 50,6% dei Consulenti del Lavoro pensa che il lavoro da casa aumenti responsabilità e produttività dei lavoratori, ma il 49,4% pensa l’esatto opposto. Similmente, a fronte del 47,8% che afferma che con lo smart working si crei un clima di maggiore fiducia e collaborazione tra management e risorse umane, il 52,2% non è d’accordo con tale affermazione.

“Il quadro che emerge dalla nostra indagine”, spiega Rosario De Luca, Presidente della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, “è composto da luci ma anche da molte ombre: quella che fin dall’inizio è stata presentata come un’esigenza ma anche una grande opportunità di modernizzazione del lavoro si è concretizzata nei fatti in un’esperienza allargata di home working più che smart working”.

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