Tre anni di lotta alla corruzione

Il presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione racconta a Legal la soddisfazione per i risultati conseguiti fino a qui, senza nascondere le criticità che hanno accompagnato l’attività dell’organismo

Nel recente libro La corruzione spuzza, scritto a quattro mani con il presidente di sezione del Consiglio di Stato Francesco Caringella, Raffaele Cantone analizza attentamente il fenomeno dilagante della corruzione nel nostro Paese nei diversi ambiti: da quello classico delle opere pubbliche, alla sanità, la giustizia etc.
[auth href=”https://www.lefonti.legal/registrazione/” text=”Per leggere l’intero articolo devi essere un utente registrato.
Clicca qui per registrarti gratis adesso o esegui il login per continuare.”]I danni prodotti in termini di minore reddito, minore attrattività di investimenti esteri, depauperamento di risorse intellettuali, impoverimento del livello di democrazia non lasciano spazio che a una lotta senza quartiere contro questo fenomeno. Una lotta che per avere successo deve contare sul valido concorso di tre fondamentali pilastri: la repressone, la prevenzione e l’educazione alla legalità.
In questa intervista Cantone, magistrato di lunga e molteplice esperienza nel contrasto alla corruzione e alla criminalità organizzata, traccia un bilancio sintetico dell’attività svolta dall’Autorità nazionale anticorruzione (Anac) fin dalla sua istituzione. Alla soddisfazione per i risultati positivi conseguiti fanno riscontro, da un lato, l’illustrazione puntuale delle criticità che hanno accompagnato e accompagnano l’operato dell’Autorità, dall’altro la ragionevole speranza di poter incidere in modo ancor più significativo sul versante dell’educazione alla legalità con un benefico impatto sullo sviluppo virtuoso del Paese.
Presidente Cantone, l’Anac ha da poco tagliato il traguardo dei tre anni dalla sua istituzione. Può tracciarci un quadro sintetico dei principali risultati ottenuti in questo periodo?
In questo triennio il quadro è veramente cambiato tantissimo. L’Autorità ha mutato veste e struttura grazie al decreto Madia del 2014 e poi sono stati varati il nuovo Codice degli appalti che ha ampliato notevolmente i poteri dell’Autorità e il Foia, che aumenta la trasparenza della Pubblica amministrazione. Senza voler assolutamente indulgere a trionfalismi, l’Autorità è oggi divenuta un’istituzione solida e conosciuta anche dalla maggioranza dei cittadini. Personalmente mi ritengo moderatamente soddisfatto, in particolare dei risultati ottenuti con Expo. A suo modo questa esperienza è stato un battesimo di fuoco: la manifestazione si è svolta in tempo, malgrado gli scandali precedenti e il ritardo accumulato, senza tuttavia rinunciare ai controlli di legalità affidati proprio all’Anac.
Sicuramente l’esperienza legata alla vicenda Expo di Milano si può considerare molto positiva. Certamente non è stata l’unica, vero?
In realtà, ci sono davvero tante altre cose che meriterebbero di essere menzionate, come il fatto di essere riusciti a commissariare il Mose a Venezia dopo la scoperta di tangenti milionarie. Non è l’unico caso: finora abbiamo commissariato per corruzione molti appalti e fra essi alcuni strategici in settori diversi. E, infine, vorrei citare anche le tante segnalazioni che ci giungono quotidianamente, la vigilanza sui lavori per il Giubileo, gli accordi con le procure per lo scambio di informazioni e i tantissimi protocolli di «vigilanza collaborativa» firmati con le amministrazioni, con cui preventivamente ci viene sottoposta la documentazione sugli appalti da parte di chi fa le gare per assicurare il rispetto della legalità ed evitare contenziosi. Sono tutti piccoli segni che qualcosa sta cambiando davvero.
 
Voltando pagina e passando ai rapporti con le altre istituzioni pubbliche, quali sono, a suo giudizio, le aree di miglioramento su cui intervenire nel breve termine ai fini di una più proficua collaborazione?
La funzione principale dell’Anac è soprattutto quella di accompagnare l’amministrazione pubblica a svolgere un ruolo diverso nel contrasto alla corruzione; con la legge Severino si è messa in campo una piccola rivoluzione copernicana. Le Pubbliche amministrazioni non sono solo l’oggetto dei controlli amministrativi o penali, ma esse stesse sono attori della politica anticorruzione. I piani di prevenzione della corruzione e la trasparenza sono il mezzo attraverso il quale questo cambiamento deve concretizzarsi. E il compito dell’Autorità è quello di vigilare affinché questo cambiamento avvenga. Tale vigilanza non vuole essere un altro ennesimo controllo, ma un meccanismo di dialogo costante con le amministrazioni. Su quest’ultimo aspetto dobbiamo lavorare ancora moltissimo, perché questo ruolo deve essere chiaramente compreso, cosa che a oggi solo in parte è avvenuta; certamente noi possiamo e dobbiamo fare di più in questa prospettiva.
Lo scorso maggio l’Anac ha organizzato la terza Giornata nazionale dei responsabili della prevenzione della corruzione e della trasparenza. Quali sono le criticità che ancora caratterizzano il ruolo e l’attività di questa figura?
Come dicevo i responsabili della prevenzione della corruzione e della trasparenza (Rpct) hanno un ruolo cruciale nel guidare il cambiamento delle amministrazioni, ma per una serie di ragioni, spesso, sono ancora poco valorizzati; in qualche caso, persino, osteggiati. Intanto perché si occupano, all’interno degli enti cui appartengono, della pubblicazione dei redditi e della situazione patrimoniale di dirigenti e amministratori e può capitare quindi che si trovino a fronteggiare forme di ostracismo più o meno palesi. Inoltre, devono redigere i piani anticorruzione, un documento fondamentale in cui analizzare le aree più a rischio e prevedere modelli che impediscano il verificarsi di episodi di malaffare. Malgrado questa centralità, però, gli Rpct di frequente non dispongono delle risorse, sia materiali sia di personale, necessarie ad adempiere al loro delicato compito. Il risultato, così, è che spesso sono abbandonati a loro stessi e vivono con disagio questa situazione. Anche per questo motivo ogni anno organizziamo come Anac una giornata appositamente dedicata a loro, che rappresenta per noi un’importante opportunità di confronto diretto. L’obiettivo è capire i problemi che vivono nel quotidiano, ma anche far sentire loro che hanno tutto il nostro sostegno. Posso, però, aggiungere che quest’anno ho verificato positivi cambiamenti. Gli Rpct sono molto più consapevoli del loro ruolo e della loro responsabilità e molti stanno riuscendo, con autorevolezza e capacità, a imporre nelle loro amministrazioni un’agenda che metta fra gli argomenti rilevanti l’anticorruzione, intesa come uno strumento per rendere più trasparenti e rispettosi delle regole i procedimenti interni.
Un’altra tappa importante nel percorso virtuoso delle amministrazioni pubbliche è stata nel 2016 la promulgazione del Codice degli appalti pubblici, una svolta storica in questo ambito così delicato e cruciale per il corretto sviluppo del Paese. Quali sono stati i principali aspetti innovativi e che cosa francamente non ha funzionato in questo primo anno di esperienza?
Tra le novità positive sicuramente vanno menzionate la semplificazione, la flessibilità, l’obiettivo della legalità e la tutela della concorrenza. Sono apprezzabili anche gli intenti di rafforzare la qualità dei lavori, riducendo il numero delle stazioni appaltanti sulla base della loro effettiva capacità organizzativa e professionale; abbandonare il sistema di massimo ribasso per l’offerta economicamente più vantaggiosa; prevedere commissioni di gara indipendenti; strutturare gli appalti per i lavori su progetti definitivi ed esecutivi, abbandonando il sistema dell’appalto integrato. E si potrebbe continuare ancora, ricordando la vigilanza collaborativa, ideata dall’Autorità in occasione di Expo e applicata soprattutto per i lavori più delicati o a maggior rischio corruzione o il rating d’impresa, una sorta di bollino blu nato premiare le imprese che si sono distinte per la loro affidabilità nell’esecuzione delle commesse pubbliche.
 
Fin qui gli aspetti positivi, e le criticità?
Devo subito sottolineare che molte delle misure appena ricordate, purtroppo, non sono ancora entrate a regime, perché hanno bisogno di tempi tecnici non brevissimi e su alcune di queste misure il governo, con il correttivo di aprile scorso, spinto anche da pezzi dell’Amministrazione pubblica e delle imprese, sembra aver innestato almeno in parte una marcia indietro, non tenendo in debito conto la necessità di un rodaggio più lungo. In questa direzione vanno, ad esempio, l’ampliamento dei casi di aggiudicazione col criterio del massimo ribasso e un parziale ritorno dell’appalto integrato. Ovviamente, pur con questi parziali “arretramenti”, il nuovo Codice rappresenta uno strumento di grande innovazione e una grande occasione di migliorare il sistema delle commesse pubbliche.
In definitiva, la recente emanazione di correttivi al Codice degli appalti potrà, secondo lei, cogliere l’obiettivo di sbloccare il motore inceppato dei piccoli investimenti pubblici, garantendo comunque la trasparenza e l’imparzialità? 
Come accennavo prima, il correttivo più che svolgere la funzione di intervenire su aspetti minimali è stato visto e voluto in una prospettiva di riconsiderare in parte l’impianto originario. E in questa chiave ha giocato di certo un ruolo la polemica, in parte reale in parte strumentale, sul mercato degli appalti bloccato. Io credo che la riduzione quantitativa delle commesse pubbliche fosse in larga misura superabile con l’entrata a regime delle norme. Una parte della burocrazia, per ragioni anche comprensibili, ha avuto un approccio di rigetto rispetto al Codice e un po’ lo ha anche boicottato. E voglio aggiungere che pensare all’entrata in vigore di uno strumento così nuovo senza nemmeno preoccuparsi di formare i pubblici dipendenti che avrebbero dovuto applicarlo è stato il tipico errore del legislatore italiano: ci si preoccupa, cioè, delle norme e non di chi debba applicarle. Con il correttivo si è scelto di introdurre ulteriori semplificazioni che dovrebbero facilitare le procedure degli appalti. Dietro alcune procedure ci sono, però, rischi e pericoli di poter favorire distorsioni, se non persino illeciti penali; proveremo attraverso il nostro potere regolatorio a sterilizzare questi rischi.
Per concludere, senza cadere nella tentazione di facili patriottismi, è lecito parlare oggi di Anac quale modello di riferimento europeo nel presidio della legalità?
È vero che da molti Paesi si guarda all’Anac come a un possibile punto di riferimento. Per esempio, attualmente stiamo lavorando a progetti finanziati dalla Commissione europea per aiutare Serbia e Montenegro a sviluppare un’Agenzia anticorruzione nei loro rispettivi Paesi, in vista della possibilità di un loro ingresso in Europa. In questo senso l’Anac sarà chiamata a svolgere un ruolo importante nel cosiddetto «processo di Berlino», che dovrà avvicinare i Paesi della ex Jugoslavia all’Europa proprio nello sviluppo delle pratiche anticorruttive. Inoltre, alcune prassi adottate dall’Anac, in particolare la «vigilanza collaborativa», approntata in occasione di Expo, sono state validate a livello internazionale e possono rappresentare un benchmark a livello mondiale. Ad esempio, l’Ocse, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, ha appositamente elaborato gli «High level principles for integrity, transparency and effective control of major events and related infrastructures»: un documento in cui, oltre a descrivere le procedure utilizzate, invita i Paesi aderenti a seguire il modello intrapreso in Italia. Sono riconoscimenti significativi per un Paese che fino a poco tempo fa in questa materia non era certo additato come esempio positivo.

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