È stata presentata ieri a Tirana, nel corso dell’evento “Gli investimenti esteri in Albania” l’edizione 2020 della Guida Paese Albania 2020, un volume che si pone l’obiettivo di guidare le imprese agli investimenti esteri nel Paese delle Aquile.
La Guida, realizzata da Confindustria Albania in collaborazione con Tonucci & Partners Albania, offre una disamina delle norme e dei regolamenti in vigore e fornisce un supporto a 360° a chi già opera o voglia intraprendere o sviluppare il proprio business nel Paese con capitale Tirana. La presentazione si è tenuta in occasione dell’Assemblea Generale di Confindustria Albania, che per l’occasione è stata aperta dai saluti di Sergio Fontana, presidente di Confindustria Albania, Fabrizio Bucci, Ambasciatore d’Italia a Tirana, e di alcuni esponenti del Governo Albanese e in particolare: Eduard Shalsi, Ministro di Stato per la Tutela degli Imprenditori e Anila Denaj, Ministro delle Finanze e dell’Economia.
La sessione tecnica, sotto la moderazione di Diana Leka, direttrice del Segretariato Consiglio Investimenti, ha visto protagonisti Mario Tonucci, fondatore e managing partner di Tonucci & Partners Albania, Silvio Pedrazzi, CEO di Intesa Sanpaolo Bank Albania, Stefano Borghesi, amministratore della Petrolifera Albanese, Giordano Gorini, amministratore di Essegei Sh.A e Doriana Patuzi dell’Agenzia per gli Investimenti Albanesi.
Giunta alla sua 25ma edizione, e negli anni precedenti pubblicazione esclusiva di Tonucci & Partners Albania, la guida per accompagnare e orientare gli imprenditori interessati ad ampliare i propri orizzonti sull’economia albanese, a partire da quest’anno, è frutto di una stretta collaborazione tra Confindustria Albania e Tonucci & Partners Albania.
Sergio Fontana commenta: “Confindustria Albania presente nel paese solo dal 2016, ha saputo ritagliarsi il suo spazio nel complesso percorso di trasformazione che l’Albania sta compiendo fino a divenire, oggi, la più importante ed autorevole Associazione di riferimento per il dialogo tra le imprese e le istituzioni pubbliche albanesi. Confindustria Albania ha ottenuto tali risultati focalizzandosi sulle linee guida strategiche tese al miglioramento del clima di business in Albania, orientando e informando gli imprenditori italiani sulle opportunità e sulle criticità del mercato albanese, instaurando e rafforzando collaborazioni e sinergie tra imprese italiane e albanesi, diffondendo la conoscenza economica dell’Albania in Italia e consolidando la cultura di impresa. È nel solco di queste molteplici attività che si inserisce la pubblicazione della Guida Paese 2020, realizzata con il prezioso contributo dello studio legale Tonucci & Partners Albania”
Mario Tonucci commenta: “Dopo la costituzione di Confindustria Albania, di cui Tonucci & Partners Albania è orgoglioso di essere uno dei membri fondatori, era naturale lavorare insieme per la redazione di una Guida Paese che potesse avere il contributo di tutti i soci imprenditori che hanno investito nel Paese e ne vogliono un grande sviluppo nell’ambito di una concorrenza aperta anche ad altri investitori internazionali. Proprio attraverso lo strumento della Business Guide, che negli anni ha dato una fotografia dello stato del Paese, possiamo dire di essere stati testimoni della continua crescita e lo sviluppo economico, sociale e normativo dell’Albania”.
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La nuova partita delle rinnovabili
3 anni agoSi apre una nuova partita per le fonti rinnovabili. Dopo la “debacle” del primo “conto energia” del 2005 e la “corsa all’oro” scatenata dai maxi incentivi dal 2007, si prospetta ora un nuovo boom per l’energia alternativa. I profili di rischio però non mancano, dall’incertezza del modello finanziario, ai ritardi regolatori, alla variabilità della giustizia amministrativa.
Tutte criticità che il decreto “fonti rinnovabili” dovrebbe risolvere, ma che non si sa quando vedrà la luce. Le opportunità, invece, sono date dall’innovazione tecnologica, che consente lo sviluppo di impianti più efficienti, con uno spazio ridotto a parità di produzione. È il quadro che emerge dall’intervista doppia di Le Fonti Legal a Tommaso Ferrario, avvocato esperto di energy dello studio Amtf Avvocati, e ad Angelica Orlando, direttore affari legali, istituzionali e regolatori presso Sorgenia.
Tommaso Ferrario, si prospetta un nuovo boom delle rinnovabili. Quali i profili di rischio per chi investe?
Si prospetta un nuovo boom delle rinnovabili, ma non sarà certamente una “corsa all’oro” come negli anni 2007-2012, perché il mercato non è più sussidiato e soffre degli stessi “cons” della scorsa volta: una elevata regolazione, e l’incertezza circa la stabilità dei permessi. Ma rispetto alla volta scorsa manca il principale dei “pros”, ossia la tariffa incentivante, e con la vendita di energia elettrica, i margini si sono assottigliati. Insomma, i profili di rischio per chi investe nelle rinnovabili non sono pochi. A oggi, l’energia elettrica non è ancora facilmente immagazzinabile, per cui o l’operatore è certo di riuscire a venderla in toto, a prezzi stabili e ragionevoli con i tanto proclamati Ppa, oppure il modello finanziario è troppo incerto. E chi si avvicina alle rinnovabili raramente ha una cultura nei contratti “spot” o “forward”, ossia in contratti di vendita a pronti o a termine. Ma ragiona sulla produzione giornaliera e cerca qualcuno che gliela comperi a forfait, perdendo tuttavia in questo modo i margini del trading, propri degli operatori più strutturati. È vero, rispetto al passato si ha oggi un certo sviluppo della tecnologia, migliorata, ma per esempio i “sistemi di accumulo”, per quanto interessanti, ancora necessitano di un nuovo e oneroso investimento. Da ultimo, dovendo guardare a capitali stranieri, in Italia c’è un forte problema di credibilità che questo continuo delay del decreto “fonti rinnovabili” non aiuta a risolvere, e i ritardi regolatori impattano su tutto il sistema produttivo, dall’industria che paga ancora tanto per avere energia, ai fornitori, fino alle banche.Che tipo di incarichi state ricevendo come studio?
Nel settore delle rinnovabili, come studio, rileviamo una continua richiesta sulle operazioni di m&a, finanziamento e rifinanziamento, mentre non notiamo un paritetico aumento dal punto di vista regolatorio e di sviluppo, su cui siamo anche noi molto cauti. E lo capiamo, c’è diffidenza, i nuovi impianti saranno necessariamente più grandi rispetto al passato per poter sfruttare le economie di scala, e dunque più impattanti per quanto minori in numero. Con l’effetto per cui se un territorio può ospitare 30/40 nuovi grandi impianti, vuole dire che tra tutti questi nuovi sviluppatori che stanno ora proliferando ci sarà necessariamente una selezione, qualitativa e quantitativa. Bisognerebbe comunque intervenire sull’arbitrarietà degli enti locali, stringendo le maglie sui territori dove si può o meno costruire, dando però certezze agli investitori sul processo autorizzativo. Siamo inoltre impegnati nello sviluppo, lato investitori per lo più stranieri, di progetti fotovoltaici ed eolici, per i primi cercando di prevedere condizioni contrattuali che permettano un dosaggio adeguato del rischio, per i secondi, che si confrontano con un mercato rappresentato da un insieme di player più sofisticati a livello territoriale rispetto al fotovoltaico, per lo più nella fase 2, ossia nella costruzione degli impianti.Quali gli scenari aperti dal “phase out carbone”?
Ci sono una serie di problematiche aperte, che ancora una volta fanno emergere gli stessi guai della politica del passato: proclami in pompa magna destinati ad essere necessariamente riconsiderati. Un esempio? La Sardegna, ci sono due centrali, ambedue a carbone, ciascuna sostiene circa metà regione dal punto di vista energetico. Secondo il ministro dell’ambiente Costa entro il 2025 si deve perfezionare il phase out dal carbone. Le tempistiche per convertire le centrali sono bibliche. Per costruirle ci vuole tempo e cura. E soldi. Cosa facciamo? trasferiamo tutti gli abitanti della Sardegna in altre regioni? Difficilmente ipotizzabile che nel 2025 sia stata trovata una soluzione, mentre è più probabile che la data venga prorogata. Il risultato, però, è che tutti coloro che stanno avviando un business plan in vista dell’uscita dal carbone, dalla proroga subiranno delle perdite ed i proprietari sono nell’incertezza. Le cose devono essere programmate a lungo periodo.Quali le opportunità del settore energy?
Una delle partite più interessanti si gioca sul collegamento delle reti. Oggi c’è tantissimo da fare e da migliorare, ci sono compartimenti stagni che creano inefficienze. Difficili ed onerose da gestire, se ci fosse più collegamento il dispacciamento sarebbe più armonico e lineare. Il miglioramento della rete elettrica è fondamentale, è una esigenza nelle zone in cui si vuole investire e va di pari passo allo sviluppo industriale. In generale, serve una riforma complessiva del settore che si ponga l’obiettivo di evitare eccessive frammentazioni di zone, e monopolizzazioni per ogni segmento dell’energia, creando una maggiore concorrenza. Nel dubbio il regolatore, a tutti i livelli, dovrebbe sempre seguire la concorrenza. Tra le diverse opportunità del settore è di grande interesse la creazione di “centrali di picco”, centrali termoelettriche, con potenza pari a qualche decina di megawatt, che avranno come effetto quello di tenere in equilibrio la rete, con “manovre” più snelle. Quando, per esempio, sarà necessario un nuovo output di energia, per cali o per regolazioni di tensione, anziché utilizzare le grandi centrali, si potranno chiamare le “centraline” più flessibili, con costi più bassi e capacità di entrare in assetto velocemente. Di conseguenza, verranno abbassati i costi di approvvigionamento e dispacciamento di energia elettrica. Ridotte le emissioni. È un’opportunità su cui diversi produttori si stanno affacciando. Su cui molto inciderà il capacity market, ossia la remunerazione accessoria per quei fornitori di capacità elettrica che si impegnano a mantenerla e a metterla, in caso di necessità, a disposizione del sistema. Altra opportunità è data dal revamping degli impianti rinnovabili esistenti, che porteranno alla sostituzione delle strutture vecchie con altre nuove, dietro però un vantaggio economico che va previsto normativamente, senza svantaggiare chi produce energia in altro modo.Angelica Orlando, si prospetta un nuovo boom delle rinnovabili. Come lo state affrontando?
Siamo davanti a una nuova fase del settore energia, perché da un lato le nuove tecnologie consentono oggi di rendere meno costose le fonti rinnovabili rispetto a prima. Oggi si parla infatti di market parity senza più bisogno degli incentivi che una volta erano necessari. Dall’altro lato, a questo aspetto si associa un cambio di paradigma del settore energia: siamo passati da un sistema che vedeva il produttore che produceva e distribuiva energia al consumatore, a un modello in cui il consumatore è sempre più consapevole e partecipe nel mercato. Il futuro è un modello di energia distribuita che passa attraverso le fonti rinnovabili. Questa è un’opportunità per Sorgenia perché oggi non è più solo un fornitore di energia ma un operatore di servizi integrati che va dall’installazione di piccoli impianti domestici rinnovabili fino alla gestione dell’energia prodotta. Ma è un’opportunità enorme anche per il consumatore che potrà trarre profitto da un consumo più efficiente e consapevole dell’energia. Accanto a questa nuova opportunità di sviluppo resta fermo l’impegno di Sorgenia a fare investimenti in fonti rinnovabili valorizzando il know-how che negli anni passati ha permesso a Sorgenia di essere uno dei protagonisti nel mercato della generazione rinnovabile. Diversi sono i progetti in cantiere alcuni in fase avanzata come il primo impianto geotermico tecnologicamente avanzato, che sta concludendo il processo autorizzativo. Per quanto riguarda poi il fotovoltaico, abbiamo un progetto che prevede l’installazione di 250 MW nei prossimi anni. Inoltre, stiamo lavorando a una pipeline per il biometano con un complessivo piano industriale disegnato intorno a un’idea di fondo: la sostenibilità ambientale. Accanto a questi progetti, abbiamo infatti impianti a ciclo combinato a gas con livelli di emissione bassissimi che garantiscono flessibilità in fase di transizione energetica verso il parco rinnovabile.Ci sono però tutta una serie di problematiche legate alla saturazione del territorio. Come si affrontano?
Da una parte l’innovazione tecnologica oggi consente lo sviluppo di impianti fotovoltaici più efficienti rispetto al passato, che necessitano di uno spazio ridotto a parità di produzione, dando un valore aggiunto in termini di occupazione del suolo. Ci sono poi alcune installazioni di ampie dimensioni che richiedono lo svolgimento di tutto il processo autorizzativo, ma comunque con una cubatura inferiore rispetto al passato. Il quadro normativo già offre adeguate garanzie per uno sviluppo pienamente compatibile da un punto di vista ambientale e paseaggistico. Da ultimo questo sviluppo offre una importante opportunità di recupero di aree dismesse o brown-field l’importante è il dialogo con il territorio per giungere in tempi rapidi alla conclusione degli iter autorizzativi.È in cantiere il “Decreto Rinnovabili”, anche se rispetto alla sua adozione regna l’incertezza. Quali le criticità?
Rispetto al decreto FER 1, una criticità riguarda gli impianti idroelettrici di piccole dimensioni, il cui sviluppo è fortemente limitato dal quadro di incentivazione definito dal decreto, che stabilisce alcuni requisiti tecnico-progettuali che rischiano di tenere fuori progetti che sostanzialmente hanno tutte le caratteristiche ambientali richieste dal più ampio quadro normativo di riferimento. In questa fase il Governo sta lavorando proprio per individuare una soluzione di compromesso che possa contestualmente salvaguardare gli aspetti di interesse ambientale con quelli di carattere industriale.Quali scenari apre il “Phase out carbone”?
L’uscita dal carbone, aldilà dell’aspetto normativo, è oggi una necessità perché c’è una crescente consapevolezza rispetto al garantire alle generazioni future un mondo privo di fonti di produzione di energia fortemente impattanti. È chiaro che pensare oggi all’uscita dal carbone per arrivare a un parco interamente rinnovabile non è immaginabile. Bisogna costruire un percorso che accompagni questa transizione e in questo senso gli impianti a gas giocano un ruolo fondamentale come peraltro confermato all’interno del Piano nazionale integrato clima energia che il nostro Governo ha recentemente condiviso con la Commissione europea. Da un lato non hanno il limite dell’intermittenza delle rinnovabili, dall’altro hanno un costo più basso rispetto al carbone. Ritengo quindi che il percorso sia disegnato dallo stato delle cose, indipendentemente dai provvedimenti.Quali le opportunità offerte dal settore energia?
In generale vedo nello sviluppo tecnologico e nella crescente digitalizzazione una grande opportunità per le imprese che operano in questo settore. Nella misura in cui, però, siano in grado di interpretare concretamente il cambiamento, incentivando il consumatore a essere sempre più partecipe di questo processo. Oggi, la tecnologia rende più accessibili sia la creazione sia la realizzazione di impianti che prima potevano essere installati solo grazie a incentivi perché avevano costi eccessivi. In questi termini, lo sviluppo tecnologico porta alla crescita di filiere diverse, e noi stiamo sviluppando, tra le altre cose, sinergie per la ricerca e la realizzazione di tecnologie di accumulo eco-compatibili per i clienti residenziali. L’altro tema è legato alla digitalizzazione del consumatore, che oggi ha la possibilità di accedere ai servizi a costi contenuti e con grande semplicità. I nostri clienti possono scegliere l’impianto rinnovabile da cui approvvigionarsi. Si tratta di una grande opportunità perché oggi il tema della sostenibilità ambientale è sempre più sentito.Post Views: 563 -
LABLAW lancia lo Spanish Desk con l’ingresso dell’avvocato Giulia Leardi
4 anni agoDopo la creazione del German Desk nel 2017 a supporto delle aziende di matrice tedesca in Italia – un unicum fra gli studi specializzati in diritto del lavoro – prosegue e si consolida la strategia di crescita di LABLAW con la creazione oggi dello Spanish Desk a supporto delle aziende di matrice spagnola in Italia
Il dipartimento sarà affidato a Giulia Leardi di recente ingresso in Lablaw che ne sarà la responsabile. Giulia è un avvocato professionista con oltre 13 anni di esperienza di attività nel settore del diritto del lavoro. Avvocato italiano bilingue, spagnolo e inglese, con grande esperienza nell’affiancare aziende sia Italiane che internazionali, in particolar modo quelle spagnole, dalla consulenza day by day all’assistenza lavoristica su operazioni di M&A, ristrutturazione e riorganizzazione aziendale anche internazionale.
Dopo la laurea in giurisprudenza conseguita presso l’università degli studi di Pavia con una tesi sull’arbitrato nazionale ed internazionale col professor Taruffo, ha lavorato al Parlamento Europeo a Bruxelles come assistente accreditata del Deputato Italiano On. Francesco Fiori, dove ha maturato una raffinata conoscenza dei meccanismi legislativi europei e del loro impatto sulla legislazione e sulla prassi nazionale.
Rientrata in Italia ha continuato la propria attività professionale presso primari studi italiani specializzati di diritto del lavoro.
A partire dal 2013, Giulia ha svolto la propria attività presso il dipartimento Labour dello studio internazionale Osborne Clarke di Milano dove ha affiancato aziende e clientela sia italiana che internazionale in complesse attività e progetti sia di consulenza che giudiziali.
Nelle more ha conseguito con successo una seconda laurea in giurisprudenza presso l’università spagnola di Santa Teresa D’Avila (Universidad Católica Santa Teresa de Jesús de Ávila) perfezionando così la propria conoscenza della legislazione spagnola, in particolare quella del diritto del lavoro spagnolo. Ha frequentato con successo la Scuola di Alta Formazione in Diritto del Lavoro Patrocinata dall’AGI (Associazione Giuslavoristi Italiani) Conseguendo il titolo di Avvocato Specializzato in Diritto del Lavoro ed è socia AGI.
All’interno di Lablaw, oltre ad assistere aziende straniere, Giulia Leardi curerà lo Spanish Desk occupandosi della clientela spagnola già esistente e di rafforzare i rapporti internazionali con i Partners di matrice spagnola della Alliance Internazionale L&E Global (https://leglobal.org/ ) di cui Lablaw è socio fondatore.
“Nella strategia di crescita globale che contraddistingue LABLAW – dichiarano Luca Failla e Francesco Rotondi soci fondatori dello Studio – la creazione del German Desk nel 2017e dello Spanish Desk oggi con l’ingresso della Collega Giulia Leardi sono la testimonianza dell’impegno di LABLAW a voler proseguire e consolidare il progetto di sviluppo internazionale dello Studio e di assistenza ai clienti stranieri ed alle multinazionali, in linea con la creazione dell’Alliance L&E Global, avvenuta nel gennaio del 2011 (https://leglobal.org/), che oggi conta oltre 30 studi legali con una rete di oltre 1500 professionisti in tutto il mondo (Usa, Sud America, Europa, Cina, Australia e India per dirne alcuni) a favore di una clientela sia italiana che straniera”.
“In particolare” – proseguono i soci fondatori – “con la creazione di un Spanish Desk appositamente dedicato alle aziende ed ai Clienti di matrice spagnola in Italia che segue la creazione nel 2017 del German Desk – un unicum per uno studio legale lavoristico mai sviluppato in Italia prima di Lablaw – vogliamo accrescere e consolidare ulteriormente la nostra attività ed assistenza in favore delle tante ed importanti Aziende spagnole in Italia, che da sempre rappresentano un significativo segmento del mercato del lavoro italiano.”
Dopo la partnership strategica avviata con lo Studio Marazza e Associati di Roma, l’ingresso dei Partners Giorgio Treglia e Francesca Maria Valle e del proprio team nel 2016, con 80 avvocati specializzati e ben 7 sedi sul territorio, Lablaw è oggi la prima realtà legale italiana dedicata al diritto del lavoro.
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L’Italia recupera sul fronte e-government
6 anni agoGli avvocati d’affari promuovono i passi in avanti compiuti su questo versante. Anche se resta ancora molto da fare per avvicinare le migliori esperienze occidentali
Le iniziative messe in campo negli ultimi tempi dall’Italia sul fronte dell’e-government vanno nella giusta direzione per ammodernare il Paese, anche se resta ampia la distanza rispetto alle migliori esperienze occidentali. Secondo le rilevazioni dell’Osservatorio eGovernment, curato dall’Osservatorio eGovernment della School of Management del Politecnico di Milano,
[auth href=”https://www.lefonti.legal/registrazione/” text=”Per leggere l’intero articolo devi essere un utente registrato.
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Negli acquisti della Pa, invece, l’Osservatorio rileva la mancanza di un processo strategico e continuativo: nel 54% dei casi la programmazione dei fabbisogni d’acquisto è su base annuale e solo in un ente su cinque l’attività è supportata da un gestionale informativo, mentre le piattaforme di eProcurement sono utilizzate al meglio solo dagli enti più organizzati.Dalla teoria alla pratica. Domenico Ielo, leader del focus team agenda digitale e comunicazioni elettroniche di BonelliErede, sofferma l’analisi sulla recente riforma del Cad (Codice dell’Amministrazione Digitale), segnalando la difficoltà di passare dalla teoria alla pratica. «L’ e-government implica un cambiamento di mentalità e di approccio, vale a dire l’abbandono del modello burocratico». Da qui l’invito a «mettere in soffitta la concezione proprietaria dei dati pubblici e superare le resistenze al cambiamento e le tendenze al localismo e ai compartimenti stagni». L’innovazione, aggiunge Ielo, richiede passaggi concreti come scambiare dati e non documenti, valorizzare il patrimonio informativo pubblico e avere una completa gestione del dato e dei processi. «L’e-government – quello vero – presuppone innovazioni di mentalità e di struttura», insiste. Il riferimento è alla constatazione che è è difficile creare applicazioni digitali se ogni organizzazione pubblica lavora in modo diverso; se i sistemi gestionali non si parlano e non permettono di aggregare i dati. Per Ielo, la vera sfida quindi non è cambiare solo le procedure, da cartaceo a digitale, ma i processi. «È indispensabile una cultura del dato e della commercializzazione del dato. I Big data, per esempio, potrebbe utilizzarsi nelle politiche di spending review».Le esperienze internazionali. Ielo cita qualche esempio estero in tal senso. Negli Stati Uniti, il Fact Sheet Big Data Across the Federal Government prospetta un investimento di circa 250 milioni di dollari legato all’uso dei Big data in varie aree pubbliche, mentre il Behavioural Insight Team, esperti che processano Big data combinando analisi matematica e del comportamento dei cittadini, assiste il governo inglese. Progetti di grande successo, tuttavia da guardare senza dimenticare le limitate risorse del nostro Paese sul fronte dell’e-government. «Nel suo cinico pragmatismo, Margaret Thatcher affermava provocatoriamente che tutti ricordano il buon samaritano non perché avesse buoni propositi, ma perché aveva i soldi», sottolinea l’avvocato di BonelliErede.Francesco Rampone, responsabile del team Ip/It dello studio legale La Scala, ricorda che il processo di digitalizzazione della Pubblica Amministrazione si è sviluppato nell’arco degli ultimi 20 anni e che, in questo periodo, sono stati compiuti importanti passi in avanti. «In questo ambito, gli avvocati, forse più di ogni altra categoria di professionisti, stanno beneficiato della modernizzazione della Pa».Del resto, il riferimento non è solo al Processo Civile Telematico («che sta aumentando considerevolmente l’efficienza della giustizia e ha rivoluzionato il rapporto dell’avvocato con gli uffici giudiziari»), ma anche ai siti istituzionali dai quali è oggi facile avere un rapido accesso a fonti e informazioni “sicure”, materia prima indispensabile nel lavoro dei legali. «Si pensi poi alla firma digitale e alla posta certificata: l’Italia è l0unico Paese in Europa ad averne disciplinato e a consentirne l’uso probatorio non solo nel dialogo con la Pa, ma anche in quello tra privati».Il nodo infrastrutture. Anna Romano, name partner dello Studio Satta Romano e Associati, plaude all’evoluzione dell’e-government in Italia. «Negli ultimi anni si sono moltiplicate le iniziative per il suo concreto sviluppo sotto diversi profili, ivi inclusa la facilitazione dei sistemi di pagamento, e questo ha un impatto senz’altro positivo sul sistema», commenta. Anche se rileva la presenza di due criticità: «Il primo riguarda le infrastrutture: quelle attuali per lo più non consentono la connessione alla velocità necessaria, e assicurando la qualità necessaria». Quindi l’ammodernamento di questo capitolo è «indispensabile allo sviluppo del sistema ed è essenziale che il piano relativo alla banda ultralarga, messo in campo dal governo sulla base di un’agenda europea, non venga fermato». La seconda questione sollevata da Romano, in buona parte collegata alla prima, riguarda il digital divide. «L’Italia è uno dei paesi europei che ha un maggiore digital divide, che rappresenta una vera e propria barriera a una maggiore diffusione dell’e-government».Il parere del notaio. Il lavoro dei notai è impattato in maniera importante dall’impiego delle tecnologie digitali. A questo proposito, Claudio Caruso, che esercita a Milano, segnala che questo processo evolutivo «ha migliorato notevolmente la qualità e l’efficienza del nostro lavoro. Basti pensare che la totalità dei nostri atti destinati al registro delle imprese e alle conservatorie dei registri immobiliari da parecchi anni viene trasmessa telematicamente». Bisogna però scindere l’aspetto della trasmissione da quello della sua preparazione e conclusione. «Oggi l’atto viene ancora concluso prevalentemente in modalità cartacea, ma subito dopo viene trasformato in formato digitale e la sua circolazione verso gli uffici pubblici segue appunto la via telematica», sottolinea. Da qualche tempo è anche possibile stipulare direttamente l’atto in formato informatico e in questa direzione il notariato si già è dotato di un software specifico che consente di far sottoscrivere l’atto stesso direttamente in formato digitale. «Tuttavia», riprende, «residuano delle procedure ancora non digitalizzate, ad esempio in materia testamentaria, nell’ambito delle quali si possono fare dei passi avanti». Il notaio tiene comunque a confermare il giudizio complessivamente positivo sul processo di digitalizzazione in atto nella Pa. «Il nostro Paese è cresciuto in termini di posizionamento nell’ambito delle classifiche starting business e registering property, e questo proprio grazie alla digitalizzazione dei relativi processi di circolazione e registrazione degli atti. Per il futuro auspicherei una maggiore facilità di accesso on line da parte dei notai agli atti della Pa, per esempio alla documentazione edilizia ed ai certificati dello stato civile, per i quali si rende necessario invece accedere agli uffici pubblici». L’auspicio di Caruso è che in un prossimo futuro si possa completare il quadro di trasmissione telematica «fino ad abbracciare tutte le nostre attività in ogni ambito e garantire un maggiore accesso alle banche dati della pubblica amministrazione».[/auth]
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