I robot entrano nelle law firm

Presto anche gli avvocati dovranno vedersela con la concorrenza dell’intelligenza artificiale, con algoritmi capaci di stendere contratti e fare tutta l’attività di ricerca. E, inevitabilmente, ci sarà una riduzione del numero di professionisti

Non ci sono solo i giornalisti, assediati dalla concorrenza dei blog e dei social network nella diffusione delle notizie in tempo reale e dai software in grado di “costruire” articoli attingendo dati e informazioni dalla rete.
[auth href=”https://www.lefonti.legal/registrazione/” text=”Per leggere l’intero articolo devi essere un utente registrato.
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Machine learning algorithm In realtà esistono già servizi, come quello offerto all’indirizzo www.legalrobot.com, che forniscono la revisione automatica dei documenti legali, e in particolare dei contratti, attraverso sistemi di intelligenza artificiale che rivedono in modo automatico eventuali refusi o incongruenze, come l’errata indicazione di una società o di un domicilio. Ma ora lo sviluppo dell’intelligenza artificiale applicata al mondo del diritto offre ben altro a un consulente legale. Si tratta dei cosiddetti «machine learning algorithm», che permettono di analizzare in pochissimo tempo un numero di casi per cui un giovane collaboratore di studio dovrebbe impiegare magari alcuni mesi. Alcuni di loro saranno presto in grado di scrivere molti contratti, e infatti si parla di «smart contract» o contratti intelligenti. Oltre a bruciare il tempo, questi algoritmi permettono di fare collegamenti tra casi analoghi, che sarebbero altrimenti impensabili, o quanto meno titanici anche se la ricerca fosse affidata al miglior team di avvocati. Applicata negli Stati Uniti, che ovviamente sono i pionieri dell’intelligenza artificiale, anche di quella applicata al diritto, e che è un paese di common law dove la giurisprudenza è la principale fonte del diritto, tali algoritmi permettono di analizzare le precedenti decisioni del giudice che istruisce la causa in casi analoghi per verificarne il suo potenziale orientamento, e quindi organizzare un difesa più efficace. 
I, Ross E infatti il primo robot lawyer è già in opera e ha anche un’identità, ovvero un nome. Si chiama Ross ed è impiegato nella prestigiosa law firm Baker & Hostetler fondata a New York nel 1916 da Newton D. Baker e che conta oggi quasi mille attorney in 14 sedi disperse nel paese. È sicuro che negli Stati Uniti altri studi ne seguiranno presto le impronte. 
Siamo di fronte a una rivoluzione copernicana del diritto, dove la scelta di affidarsi ad algoritmi per migliorare l’efficienza della professione legale può avere conseguenze imprevedibil. Da un lato questa evoluzione, è il parere di molti avvocati, porterà efficienza e qualità al lavoro. Dall’altro potrebbe creare un eccesso di dipendenza e automazione nella professione. Intanto però vi sono ricercatori che stanno dimostrando che lo stato attuale del machine learning non può superare la capacità di arbitrio di un giudice o di un avvocato.
Studio high tech Molti si chiedono infatti cosa ne sarà dei talenti individuali, quelli che fanno la differenza tra un semplice legale e un principe del foro. Talenti come la memoria, che serve a ricordare i precedenti, la capacità di analisi, che serve a considerare tutti gli aspetti di una controversia, il dono della sintesi, in grado di far emergere gli aspetti essenziali nel mare di informazioni, o la creatività, che permette di individuare la soluzione originale a un problema complesso. La sfida è quindi alta: utilizzare l’intelligenza artificiale senza appiattire il prodotto intellettuale. 
Tutta l’attività di ricerca e di analisi verrà automatizzata. E, se questi algoritmi sono così efficienti come sembra, tutto il lavoro di back office potrebbe essere demandato all’intelligenza artificiale. E se gran parte delle procedure verranno progressivamente automatizzate, è inevitabile che ci sarà anche una riduzione del numero di professionisti oggi inseriti negli studi legali, o quanto meno una loro riconversione in altri ambiti funzionali. Ma quali? O meglio, quali sono i procedimenti che possono essere demandati all’intelligenza artificiale? Quasi nessuno completamente, rispondono i diretti interessati. Ma tutta l’attività di ricerca, al contrario, può essere demandata al robot. 
La selezione darwiniana Ci sarà quindi una selezione naturale anche nell’affollato ambiente degli studi legali? Gli studi che punteranno alla tecnologia cresceranno, e lasceranno indietro quelli che non hanno saputo cavalcare il cambiamento, è il parere degli osservatori più attenti. Come il terremoto è preceduto da un periodo di grande calma, anche in questo caso sembra tutto fermo. Un lawyer robot infatti attualmente ha un costo molto elevato e pochi studi se lo potrebbero permettere, soprattutto in Italia, dove sono per lo più piccoli e spesso individuali. Ma la tecnologia corre molto veloce e tende a diventare popolare, ovvero accessibile in tempi strettissimi. La riduzione della forza lavoro e l’inserimento di robot lawyer farebbe pensare a un’analoga riduzione dei costi legali e quindi anche degli onorari. Lo scenario futuro potrebbe rendere più efficiente tutto il sistema, con conseguenze notevoli, e non sempre piacevoli soprattutto in Italia, di diminuzioni di occasioni di lavoro per i giovani che vogliono intraprendere la professione legale.
Etica giuridica Il problema di demandare a una macchina intelligente la ricerca legale, e un domani anche le potenziali decisioni, è sostanzialmente etico. È vero che allo stato si tratta solo di ricerche, ma è anche vero che dalla ricerca giuridica nascono le strategie difensive e soprattutto le decisioni dei giudici. Ma se gli avvocati si stanno attrezzando non è escluso che anche i magistrati possano fare lo stesso in un prossimo futuro. Un gruppo di ricercatori della University College London ha già trasformato un’intelligenza artificiale in un giudice mettendola davanti una serie di casi reali che la Corte europea dei diritti umani ha affrontato negli ultimi tempi. Stando al quotidiano inglese The Guardian, gli algoritmi avrebbero analizzato tutta la documentazione di 584 casi di tortura, discriminazione, violazione della privacy. E nel 79% dei casi esaminati, il giudice digitale ha emesso una sentenza coincidente a quella della Corte. Un successo. Ma che cosa dire del restante 21%? 

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