Non esiste settore che nel 2020 non sia stato colpito dagli effetti della pandemia. La strada per la ripartenza passa per la semplificazione legislativa e per l’adozione di modelli organizzativi che possano prevenire i reati e supportare il business anche oltre le frontiere nazionali. Lo spiegano Luca Procopio e Salvatore Laganà dello Studio Legale Procopio Laganà.
Quali sono le principali novità normative emerse nel 2020?
Molte sono le novità che si sono verificate, anche in conseguenza degli effetti globali della pandemia. Tali norme mirano non solo ad accelerare la ripresa, ma anche a stabilizzarla. Questo si raggiungerà da un lato tramite la cosiddetta semplificazione e il più agevole accesso alla liquidità, e dall’altro inducendo le società ad adottare modelli organizzativi e di vigilanza e protocolli decisionali in grado di prevenire il rischio di reato e le responsabilità che sempre più il legislatore imputa alle stesse. In tal senso sono esempi le novità previste dal D.L. 76/20, in tema di appalto, dal regolamento (Ue) 2020/1503, relativo al crowdfunding per le imprese, e dal D.Lgs. 75/20, che in ambito di responsabilità aziendale integra il novero dei reati ex D.Lgs. 231/01.
Quali saranno le conseguenze per il vostro settore legale?
Senza dubbi una maggior richiesta di modelli organizzativi (compliance ex D.Lgs. 231/01) anche nel settore sanitario. L’internazionalizzazione delle imprese e l’aumento della mobilità di lavoratori e capitali richiederanno un’organizzazione aziendale che trasmetta al mercato solidità ed affidabilità.
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Quattro investitori per il riassetto di Seri Jakala
3 anni agoSono quattro gli advisor coinvolti nell’ingresso di nuovi investitori in Seri Jakala.
Equity Partner Investment Club, il club deal promosso da Mediobanca e da Roberto Ferraresi, insieme a PFC (Holding della famiglia di Paolo Marzotto, rappresentata da Guglielmo Notarbartolo), Ardian Growth (il fondo guidato da Laurent Foata e dedicato agli investimenti “growth” di ARDIAN, il più grande fondo di Private Equity europeo e il quarto al mondo) e H14 (Holding che fa capo a Luigi Berlusconi), ha sottoscritto la documentazione contrattuale per l’ingresso nel capitale sociale di Seri Jakala S.r.l., a fianco dell’attuale socio di maggioranza Jakala Group S.p.A.[auth href=”https://www.lefonti.legal/registrazione/” text=”Per leggere l’intero articolo devi essere un utente registrato.
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Seri Jakala, società leader in Italia e terza in Europa, è una azienda della new economy nata nel 2000 e poi spostatasi verso servizi di marketing a maggior valore aggiunto.
Equity Partners Investment Club, al suo primo investimento dopo la fase di start up terminata nei mesi scorsi, è stata assistita dagli avvocati Franco Barucci, Dario Prestamburgo e Andrea Palatini dello studio Gatti Pavesi Bianchi per tutti gli aspetti di diritto societario e M&A e, per gli aspetti fiscali, dallo Studio Ludovici Piccone & Partners con i soci Paolo Ludovici e Michele Aprile e dall’associate Sergio Merlino.
Per Jakala Group S.p.A. ha agito l’avvocato Giuseppe De Franciscis.
Seri Group S.p.A. è stata assistita da Lawpartners studio legale e tributario con gli avvocati Maurizio Marullo e Giorgio Vagnoni.
PFC è stata assistita dal partner Luca Saraceni di Pedersoli Studio Legale, mentre per Ardian hanno agito gli avvocati Fabrizio Scaparro e Matilde Finucci dello studio Giovannelli e Associati. H14 è stata assistita dall’avvocato Davide Rodella.
L’operazione sarà conclusa nelle prossime settimane ad esito del completamento degli adempimenti contrattualmente previsti.[/auth]
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DLA Piper: un convegno in Senato per parlare di “soffitto di cristallo” e governance femminile
1 anno agoLAW – Leadership Alliance for Women – gruppo di lavoro che punta a formare, trattenere e promuovere la leadership dei talenti femminili, nato da una iniziativa di professioniste dello Studio DLA Piper, il principale studio legale internazionale presente in Italia – ha organizzato oggi a Roma, presso la Sala Zuccari di Palazzo Giustiniani, Senato della Repubblica, l’incontro “Il Soffitto di Cristallo”.
Obiettivo del seminario è stato analizzare le motivazioni di quelle barriere, all’apparenza invisibili, che ostacolano l’avanzamento di carriera delle donne.
Gli ultimi dati ISTAT, infatti, indicano che appena il 15,9% delle donne ricopre ruoli manageriali; un gender gap diffuso che interessa tutta la società: dalla politica alla corporate governance, dagli studi professionali all’entertainment, dimostrando che la parità di genere ai vertici è ancora molto lontana.
La proposta di LAW è stata, quindi, quella di guardare al domani: che cosa possiamo fare per colmare questo divario e consolidare la presenza di donne in posizione apicale?
La conferenza è stata organizzata grazie al lavoro delle Partner DLA Piper e fondatrici di LAW Italia Raffaella Quintana, Carmen Chierchia ed Elisa Panella.
Insieme a loro hanno discusso di tematiche relativa al mondo femminile Giampiero Falasca, Partner DLA Piper, Alessandra Santacroce, Delegata VALORE D e Presidente della Fondazione IBM Italia nonchè Direttore relazioni istituzionali di IBM e Filomena Frassino, Co – responsabile Task Force Donne al Quadrato e Consigliere Assiom Forex. Inoltre, tramite un video messaggio, ha partecipato anche Linda Laura Sabbadini, Dirigente Generale del Dipartimento per le Statistiche Sociali e Ambientali dell’ISTAT .
“La disparità retributiva tra i generi è sempre più spesso sotto i riflettori, con ricerche che riportano dati anche eclatanti, che dimostrano come sia ancora un problema globale, indipendentemente dal livello di sviluppo dei paesi considerati – dichiara Raffaella Quintana, Partner DLA Piper – L’Eurostat ha riscontrato come le donne siano attualmente pagate in media il 16% in meno rispetto agli uomini in Europa. e l’ultimo Gender Gap Report del World Economic Forum colloca l’Italia al 17^ posto su 20, nella classifica relativa ai paesi dell’Europa Occidentale, meglio solo di Grecia, Cipro e Malta. Ma non solo divario retributivo…tutte le ricerche indicano come le donne siano ancora troppo poche nelle posizioni di vertice delle organizzazioni, e che fanno molta fatica ad arrivare a ricoprire posizioni apicali e di responsabilità. E questo nonostante il gap di competenze sia stato colmato e, anzi, sia spesso a favore delle donne. A parte lo stereotipo della donna, moglie e madre, incompatibile con l’essere anche una brava manager, su cui sicuramente c’è ancora da lavorare, sembra proprio essere il ruolo che di fatto la nostra società assegna alle donne nelle cure familiari e nella ‘economia domestica’ il fattore determinante che tiene le donne in posizione di non compiuta parità. Ed allora, l’invito a tutti è a cercare insieme soluzioni concrete, efficaci a rimuovere questo ostacolo…non più ‘donne manager’, che agiscano come uomini, ma esattamente il contrario…manager che si fanno carico anche delle incombenze familiari! Questa è la strada che tutte le ricerche sul tema indicano, se veramente si vorrà risolvere il problema, a parte i proclami di principio. Il nostro Studio, anche con iniziative come LAW, crede fermamente in questo approccio ed è impegnato attivamente per fare dei passi in avanti concreti”.
“La sproporzione uomo – donna è evidente in qualsiasi contesto lavorativo: le donne arrivano fino a un certo livello, si fermano a posizioni di middle-management ma poi faticano a raggiugere i ruoli apicali, rimanendo in una sorta di limbo. – afferma Carmen Chierchia, Partner DLA Piper – In DLA Piper, attraverso LAW, lavoriamo contro quelle che sono le discriminazioni di ogni tipo, tanto che potremmo definire LAW uno strumento di valorizzazione delle diversità. Per esempio, in questi anni, abbiamo organizzato incontri di psicoterapia per capire quali siano i paletti che le donne si impongono addirittura autonomamente, e che non permettono loro di procedere nella carriera. Come LAW, abbiamo guardato sempre più in alto, ma ci siamo guardate anche indietro per dare valore e cultura a ciò che facciamo. Se noi donne di oggi siamo qui a esercitare determinati diritti lo dobbiamo a lotte combattute in passato, e questo deve valere anche per il futuro, anche noi oggi dobbiamo fare qualcosa per cui un giorno, le donne di domani, ci ringrazieranno”.
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Covid-19: più che smart è home working
11 mesi agoBassa digitalizzazione di imprese e lavoratori, pesanti limiti legati alle infrastrutture del Paese e diffidenza da parte di imprenditori all’adozione di questa modalità di lavoro.
Sono le principali criticità, secondo i consulenti del lavoro, che stanno caratterizzando la sperimentazione, in corso su tutto il territorio nazionale, dello smart working per fronteggiare l’emergenza Coronavirus.
Si tratta del “test” più grande che sia stato condotto sul lavoro agile nel nostro Paese e che coinvolge 2 milioni 205 mila dipendenti, il 17,2% della forza lavoro in organico delle imprese italiane. L’indagine della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro “Non chiamatelo smart working. Il lavoro agile ai tempi del Coronavirus secondo i Consulenti del Lavoro”, è il secondo estratto di quella condotta tra il 23 e il 25 marzo 2020 su 4.463 iscritti all’Ordine.
Per i Consulenti del Lavoro a pesare è innanzitutto il basso livello di digitalizzazione del Paese, sia per l’indice di alfabetizzazione digitale di imprenditori e lavoratori (l’88,4% concorda che tale aspetto rappresenta un forte ostacolo per l’efficacia dello strumento), sia per le carenze delle infrastrutture tecnologiche (l’81,8% degli intervistati). Emerge anche un atteggiamento di diffidenza verso il lavoro agile da parte di larghi segmenti del tessuto imprenditoriale (79,3%) che non contribuisce alla sua diffusione in questa fase emergenziale. Guardando, poi, all’impatto prodotto dallo smart working sui processi lavorativi e ai suoi benefici, le valutazioni fornite appaiono complesse. Per il 74% degli intervistati le difficoltà di coordinamento a distanza dei gruppi di lavoro rallentano i processi decisionali e produttivi, creando disfunzionalità e inefficienza. Il 50,6% dei Consulenti del Lavoro pensa che il lavoro da casa aumenti responsabilità e produttività dei lavoratori, ma il 49,4% pensa l’esatto opposto. Similmente, a fronte del 47,8% che afferma che con lo smart working si crei un clima di maggiore fiducia e collaborazione tra management e risorse umane, il 52,2% non è d’accordo con tale affermazione.
“Il quadro che emerge dalla nostra indagine”, spiega Rosario De Luca, Presidente della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, “è composto da luci ma anche da molte ombre: quella che fin dall’inizio è stata presentata come un’esigenza ma anche una grande opportunità di modernizzazione del lavoro si è concretizzata nei fatti in un’esperienza allargata di home working più che smart working”.
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