Dal primo settembre la law firm «Giovanardi Pototschnig & Associati» assume il nome di «Giovanardi Studio Legale».
Paolo Pototschnig e Valeria Mazzoletti, entrati come partner in Orsingher Ortu, lasciano lo Studio con alcuni colleghi e complessivamente gli avvocati dell’ex «Giovanardi Pototschnig & Associati» passano da 47 a 40 unità. A continuare ad animare, con Carlo Alberto Giovanardi, lo Studio legale di piazza del Liberty restano, tra i molti, gli avv. Paola Figliodoni e Alessandro Panico, a consolidare il dipartimento deputato al contenzioso.
Il «nuovo» Studio – con prestigiosi uffici a Milano e Genova – parte all’insegna di tradizione ultrasecolare e innovazione. I Giovanardi sono avvocati da diverse generazioni. A contraddistinguere «Giovanardi Studio legale», oggi più che mai, l’approccio etico e l’attenzione alla cosiddetta long lasting relationship: una relazione col cliente basata su correttezza, affidabilità, presenza costante, indispensabilità, stima reciproca su base valoriale per una law firm nella quale si fa della responsabilità e della deontologia professionale una cifra distintiva irrinunciabile.
Negli ultimi tempi, e in particolar modo nell’anno in corso, il mondo e soprattutto il settore legale hanno vissuto eventi straordinari che richiedono un totale ripensamento della professione e dei rapporti con il mercato e con i clienti: una necessità di innovare che «Giovanardi Studio Legale» ha deciso di cogliere, implementando processi comunicativi interni ed esterni che possano intercettare tali tendenze investendo sulle chance di leadership della generazione di avvocati «about 40», destinata a rappresentare il presente e il futuro dello Studio. Per illuminare questa visione, la law firm si è affidata allo studio di comunicazione The Skill, cui spetterà il compito anche di aumentare il livello di notorietà del nuovo brand e di accompagnare il processo di rafforzamento di un’insegna considerata prestigiosa e affidabile, specie nelle situazioni più difficili.
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Operazioni “baciate”, una partita da due miliardi di euro
1 anno agoBuone pratiche nell’intermediazione finanziaria a presidio della tutela dei clienti. È la strada obbligata che devono percorrere le banche per poter dimostrare la correttezza del proprio operato. Come attuarla? Rafforzando i controlli interni e adottando protocolli operativi che assicurino l’interesse della controparte. È il principale insegnamento che si può trarre dalla storica sentenza di nullità delle “operazioni baciate” messe in atto da Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca, attraverso le quali i clienti sono stati indotti ad acquistare azioni delle banche, che con il passaggio in liquidazione coatta amministrativa hanno subito un azzeramento del valore.
Di conseguenza, gli azionisti non solo sono rimasti esposti a tali perdite, ma sono stati anche obbligati a restituire le somme ricevute a prestito per l’acquisto delle azioni. Si tratta, nel dettaglio, di cinque sentenze (n. 1202, 1203 e 1204, tutte del 4 giugno 2019, n. 1259 del 7 giugno 2019 e n. 1546 del 4 luglio 2019) emesse dal Tribunale di Venezia, che hanno dichiarato la procedibilità delle cause promosse da vari azionisti nei confronti delle due banche, rigettando le tesi sostenute dalle difese degli istituti di credito. A difendere gli azionisti c’era il team dello studio legale e tributario Legalitax, guidato da Roberto Limitone e composto da Silvia Frigo, Lucia Comisso e Francesco Cavallo. A commentare con Le Fonti Legal i contenuti delle sentenze e gli effetti che queste avranno sui futuri comportamenti delle banche è lo stesso Limitone.
Quali sono i principi portanti delle sentenze in materia di “operazioni baciate”?
L’espressione “operazioni baciate” è una sintesi giornalistica che fa riferimento alla pratica mediante la quale Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca hanno condotto la clientela all’acquisto delle proprie azioni, fornendo loro a tal fine la necessaria provvista mediante finanziamenti ad hoc. Come noto, con la crisi e il passaggio in liquidazione coatta amministrativa, il valore assegnato dai due Istituti alle relative azioni è stato azzerato, lasciando gli azionisti, per un verso, del tutto esposti a tale perdita e, per altro verso, obbligati a restituire le somme ricevute a prestito, e contestualmente investite, per l’acquisto di dette azioni. Molti azionisti si sono quindi rivolti all’Autorità Giudiziaria chiedendo che le operazioni baciate venissero dichiarate nulle sulla scorta dell’art. 2358 c.c., che vieta alle società di “accordare prestiti […] per l’acquisto o la sottoscrizione delle proprie azioni” se non subordinatamente al ricorrere di specifici e stringenti presupposti, specificati nei successivi commi della disposizione de qua. Prima di pronunciarsi sul punto, le Sezioni specializzate in materia di impresa del Tribunale di Venezia, hanno risolto due questioni processuali di carattere preliminare e segnatamente: l’improcedibilità delle domande ex art. 83, co. III, TUB eccepita dalle due banche a seguito del loro ingresso in liquidazione coatta amministrativa; l’asserita incompetenza del Tribunale ordinario in favore di quello fallimentare. Entrambe le menzionate eccezioni di rito sono state ritenute infondate dai giudici di merito.
Per quale motivo quindi le domande sono state accettate anche se verso soggetti sottoposti a liquidazione?
Le domande di mero accertamento della nullità delle operazioni baciate, ancorché rivolte verso dei soggetti sottoposti a Lca, sono state dichiarate procedibili in quanto sono finalizzate ad ottenere la mera liberazione da un obbligo sorto in forza di un contratto contra legem. Tale conclusione ha, in particolare, fatto perno sul rilievo per cui la liberazione da siffatti obblighi non è suscettibile di scalfire la massa della procedura, non implicando alcuna statuizione di condanna e restitutoria verso la stessa, bensì solo il mero accertamento che l’azionista nulla deve alla banca.La norma sulle censure di nullità è quindi stata dichiarata applicabile anche alle società cooperative?
Con riferimento al merito delle censure di nullità ex art. 2358 c.c. delle operazioni baciate, il Tribunale delle Imprese veneto ha preliminarmente evidenziato che tale norma, dettata per le società per azioni, è senz’altro applicabile anche alle società cooperative, incluse le banche popolari. Ciò anzitutto in forza del richiamo operato dall’art. 2519 c.c., della mancanza di una deroga esplicita e, più in generale, della compatibilità della ratio della norma in parola, ravvisabile nella necessità di elidere i pericoli insiti nel finanziamento dell’acquisto di proprie azioni, con la disciplina di dette società. Come testé menzionato, il divieto di cui all’art. 2358 c.c. è imperativo e può essere derogato solamente se vengono rispettate le modalità, i limiti e le condizioni di cui ai successivi commi III – VI, tra cui inter alia la previsione della necessità di apposita delibera assembleare e l’obbligo di iscrivere a bilancio una corrispondente riserva negativa, tale da annullare gli effetti dell’operazione sul patrimonio netto della Società. Diversamente, l’operazione è da ritenersi nulla per contrarietà a norma imperativa. Affermata dunque l’applicabilità della disposizione in parola alle operazioni de quibus, e più precisamente ai due negozi in esse coinvolti, il finanziamento e l’acquisto di azioni, e verificato il mancato rispetto delle condizioni di legge da parte dei due Istituti, ne è disceso l’accertamento della loro integrale nullità. Al riguardo, i giudici hanno ritenuto in particolare che il divieto ex art. 2358 c.c., e la conseguente nullità, travolgono appunto l’intera operazione baciata, poiché i negozi sottostanti sono intenzionalmente legati da una connessione di fatto.Quali insegnamenti possono trarre gli istituti bancari da questa vicenda?
La vicenda delle due banche venete ha messo in luce l’esistenza di significativi margini di non adeguato presidio dell’interesse in concreto della clientela, e quindi della correttezza delle operazioni che in tali circostanze sono state concluse. Il riferimento è anzitutto alle svariate situazioni in cui le transazioni tra cliente e banca sono concluse in condizioni di conflitto d’interesse, ovvero in circostanze nelle quali la banca è portatrice di un interesse proprio e diretto alla conclusione dell’operazione. È evidente quindi che in simili circostanze quantomai essenziale risulta l’implementazione di un efficace sistema di controllo interno, senza il quale la disciplina normativa rischia di scadere a mera forma, agevolmente superabile mediante l’acquisizione di sottoscrizioni più o meno consapevoli. È altresì evidente, infatti, che proprio la ricerca e l’adozione, da parte di ciascuna banca, di protocolli operativi autenticamente volti ad assicurare in concreto, e in modo il più possibile tracciato e quindi verificabile, il rispetto dell’interesse della controparte, costituisce non solo il primo e più importante presidio a tutela della clientela, ma al tempo stesso il migliore strumento per la banca al fine di dare dimostrazione della correttezza del proprio operato.Quali sono le best practices in materia di intermediazione finanziaria?
Nel corso degli ultimi anni, a seguito della crisi del 2007, l’attenzione dei policy maker e delle autorità di vigilanza, internazionali e nazionali, si è progressivamente incentrata sull’importanza di preservare la fiducia da parte degli investitori nel sistema di intermediazione bancaria e finanziaria, elemento portante per il buon funzionamento del mercato finanziario nel suo complesso. In questo contesto, le linee direttrici degli interventi che si sono resi necessari sono state ispirate da due ordini di esigenze: da un lato, il rafforzamento delle regole prudenziali, organizzative e di comportamento degli intermediari e dall’altro lato l’incentivazione di diffuse iniziative di alfabetizzazione degli investitori-consumatori. Queste ultime misure, in particolare, nascono dalla consapevolezza che il nuovo assetto non può prescindere dalla messa a disposizione di strumenti di “autotutela”, che mettono gli investitori-consumatori in condizione di attrezzarsi per una migliore comprensione dei rischi e dei costi connessi con l’investimento in strumenti e prodotti finanziari. Si tratta di presidi che si aggiungono a quelli di c.d. “eterotutela” attivabili nelle diverse fasi del rapporto negoziale, quali gli obblighi di valutazione del cliente e informativi, gli strumenti di risoluzione stragiudiziali, gli interventi di sistemi di indennizzo degli investitori.Qual è il ruolo dell’avvocato nell’implementazione di buone pratiche di intermediazione finanziaria?
L’avvocato è chiamato ad intervenire non solamente nelle fasi patologiche del rapporto banche-clienti, ma più propriamente nella prevenzione del contenzioso favorendo il rispetto della normativa nazionale ed europea. In concreto, l’avvocato può svolgere un ruolo importante nella costruzione e attuazione di buone pratiche nel settore dell’intermediazione finanziaria, attraverso l’attività di assistenza e consulenza a banche e finanziarie, attività che può esplicarsi anche in corsi di formazione e servizi di informazione. L’avvocato può altresì assistere la banca nella gestione dei rapporti con le autorità di vigilanza, sempre in ottica preventiva.In che modo il legislatore può o deve intervenire sul settore bancario in modo che possa affrontare le prossime sfide del mercato dell’intermediazione?
Molti interventi normativi sono già stati attuati, in particolare nel settore dei servizi di investimento con la MIFID II, la direttiva europea in materia di mercato degli strumenti finanziari entrata in vigore il 3 gennaio 2018. Con la MIFID II sono state ulteriormente implementate le regole inerenti le attività di intermediazione da parte delle banche, ricercando in particolare di procurare un livello superiore di trasparenza nell’erogazione dei servizi. Tale direttiva richiede in particolare un’adeguata profilazione del cliente, sia su base individuale sia mediante collocamento in un mercato target, e ne rafforza le tutele prevedendo misure di product governance: gli intermediari saranno in particolare chiamati ad individuare i bisogni del cliente sin dalla fase di ideazione degli strumenti finanziari che devono superare un’apposita verifica di adeguatezza.Post Views: 422 -
Convegno A.P.R.I. “Il nuovo codice della crisi: quali prospettive?” Ferrara, 4-5 novembre 2019
1 anno agoA.P.R.I., ad un anno dal decennale della propria costituzione, organizza un evento nel quale saranno affrontate le novità derivanti dall’introduzione del nuovo Codice della Crisi d’impresa e dell’Insolvenza.
Con l’ottica del professionista e dell’imprenditore saranno analizzate le misure in esso contenute, generalmente orientate alla precoce emersione della crisi e alla conservazione dei valori aziendali. La continuità aziendale quale elemento da preservare e tutelare e da ricercare attraverso un adeguato assetto organizzativo, amministrativo e contabile, animerà i contenuti degli interventi degli illustri relatori che parteciperanno ai lavori. Particolare attenzione sarà altresì posta al piano industriale quale strumento fondamentale per cogliere i segnali di crisi e gestire il recupero dell’economicità e della solvibilità aziendale.
Info: https://formazione.ipsoa.it/convegno/704501/convegno-il-nuovo-codice-della-crisi-quali-prospettive
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Emergenza Covid-19: fermi quasi 8,5 milioni di lavoratori, sospese il 65,9% delle imprese
11 mesi agoSono circa 8 milioni e 434 mila (il 65,8% del totale) i lavoratori dipendenti che in questo momento non lavorano.
In larga parte perché interessati dal fermo imposto dai DPCM dell’11 e 22 marzo scorso, e successive modifiche (5 milioni e 717 mila unità, il 44,6%) e in altra misura perché sono in ferie obbligate o bloccati dalla sospensione volontaria delle attività (2 milioni e 717 mila, il 21,2%).
I restanti 4 milioni e 384 mila lavoratori dipendenti (il 34,2%), invece, continuano a lavorare: nel 17,2% dei casi principalmente o in via esclusiva da casa (2 milioni e 205 mila), in un altro 17% in sede (2 milioni e 179 mila). Il blocco delle attività produttive, unito alla chiusura volontaria di altre, ha portato alla sospensione del 65,9% delle attività imprenditoriali italiane.
È il quadro stimato dalla Fondazione Studi Consulenti del Lavoro nel focus “Emergenza Covid-19: l’impatto su aziende e lavoratori secondo i Consulenti del Lavoro”, che riporta i risultati dell’indagine condotta tra il 23 e il 25 marzo 2020 su 4.463 iscritti all’Ordine, con l’obiettivo di valutare le conseguenze della pandemia sul tessuto produttivo italiano e sui suoi addetti ai lavori.
LE ANOMALIE
I consulenti del lavoro analizzano anche l’andamento delle procedure per richiedere gli ammortizzatori sociali, diffusissimo secondo le prospettive dei Consulenti del Lavoro e in considerazione dello stallo occupazionale che interessa l’Italia. Il 41,5% dei professionisti dichiara di avere riscontrato comportamenti anomali da parte delle organizzazioni sindacali nelle procedure di accesso alla Cigo o Cig in deroga.
Il Centro Italia è l’area geografica dove si riscontrano le maggiori anomalie (45,2%) e le Marche sono la regione con la più alta quota di comportamenti non conformi riscontrati (58,3%). Tra le principali anomalie, il 59% segnala l’applicazione di istituti contrattuali non coerenti (71,6% al Nord Italia), il 50,6% la richiesta di tesseramenti e la richiesta di pagamento di oneri per i servizi resi.
GLI STRUMENTI
Se, infine, si guarda alle misure con cui le imprese stanno fronteggiando l’emergenza, la maggioranza dei Consulenti del Lavoro intervistati (45%), dichiara che le aziende hanno per lo più cercato di adottare un “mix” di misure tra lavoro in presenza, lavoro da casa e ricorso a ferie e permessi, in modo da “diluire” la presenza in sede e ridistribuire i costi dell’emergenza sull’intera comunità aziendale. Una tendenza questa che ha caratterizzato soprattutto le imprese del Nord, presumibilmente più innovative in termini di organizzazione del lavoro (51,3%), rispetto a quelle del Centro (42,1%) e del Sud d’Italia (39,6%). Il 28,3% dei Consulenti del Lavoro coinvolti dal questionario ha indicato l’utilizzo di ferie e permessi: modalità più diffusa al Centro (33,4%) e al Meridione (30,5%), rispetto al Settentrione. Solo il 10,8% degli intervistati, invece, ha risposto che il comportamento principale adottato delle aziende è il ricorso allo smart working, con le regioni settentrionali che registrano una percentuale leggermente più alta (13,2%), mentre secondo un altro 10,7% di Consulenti del Lavoro le imprese hanno invece cercato di garantire quanto più possibile la presenza in sede di tutti i lavoratori: una percentuale questa che varia dall’8,2% del Centro-Nord al 15,2% del Sud.
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