Riprendere a intensificare l’installazione di nuovi impianti a energie rinnovabili e gestire correttamente le strutture esistenti, per non allontanarci ancora di più dal percorso verso la decarbonizzazione. La fotografia del mercato energy italiano è infatti attualmente impietosa: le installazioni sono ripartite con la ripresa post-pandemica, ma la quantità di nuovi impianti fotovoltaici ed eolici è solo di poco superiore a quella del 2019. A differenza dell’Europa, che procede a passi molto più spediti ed è ormai prossima al traguardo complessivo dei 700 GW. E tutto questo mette a forte rischio il raggiungimento dei target climatici, sia al 2030, che puntano al 72% di Fer nella generazione elettrica, sia al 2050. La nostra roadmap della decarbonizzazione non sembra affatto a buon punto.
Lo afferma, sulla base dei dati emersi nel Renewable Energy Report (RER) 2022, il rapporto sulle rinnovabili in Italia elaborato dal gruppo Energy&Strategy della School of Management del Politecnico di Milano, Francesco del Bene, senior partner di Avocom Law Firm LLP, studio legale internazionale tra i più attivi nel ramo energy e non solo. Ma soprattutto, studio che può dare una overview del mercato tenendo conto anche della attuale crisi internazionale, che impone all’Europa e all’Italia in particolare un deciso cambio di passo verso l’indipendenza energetica.
Ma entriamo nel dettaglio dell’intervista che del Bene ha rilasciato a Le Fonti Legal.
Avvocato, ci descriva anzitutto l’attività dello studio nel ramo Energy.
Nel settore Energy, lo studio fornisce assistenza nella preparazione di contratti di fornitura di energia elettrica, con riferimento alla partecipazione e alla regolamentazione dei meccanismi di scambio di energia, in relazione alle forme di acquisizione dei diritti CIP/6, per tutte le questioni relative al rapporto (anche contrattuale) tra operatori privati e TERNA, GRTN, Acquirente Unico, Gestore dell’Autorità per il mercato dell’energia elettrica e dell’Autorità per l’energia elettrica e del gas. Il team dedicato fornisce una piattaforma completa per un settore in continuo, significativo cambiamento e di fronte a una maggiore attenzione globale. I nostri avvocati forniscono consulenza su progetti transnazionali e domestici, rivoluzionari nella transizione energetica e nella tecnologia energetica e guidano i clienti nello sviluppo di alcuni dei più importanti progetti di modernizzazione delle infrastrutture che riguardano America, Europa, Africa e Asia.
Da tempo leading law firm internazionale nel settore delle energie rinnovabili, assistiamo investitori, sviluppatori e sponsor su tutti gli aspetti dei progetti di energia alternativa.
Qual è l’andamento delle rinnovabili in Italia?
In maniera chiara ed inequivocabile, senza lasciare spazio ad interpretazioni di maniera, esordisce il Renewable Energy Report (RER) 2022, il rapporto sulle rinnovabili in Italia elaborato dal gruppo Energy&Strategy della School of Management del Politecnico di Milano: il 2021 “è stato un altro anno sprecato”. In realtà, tuttavia, è stato un ulteriore anno “sprecato” – e ci si rende conto del fatto che sia una parola “forte” – per l’obiettivo di ridare slancio alle installazioni, ancora fortemente limitate da un contesto regolatorio e normativo che nonostante tutto non è indubbiamente “semplificato” quanto sarebbe necessario.
Il problema è che, ad ogni anno che passa, questo “spreco” diviene sempre più impattante, allontanando decisamente il raggiungimento degli obiettivi al 2030, per tacere di quelli al 2050. È importante prendere coscienza di questo problema e provare, come monito emergente dal RER ma da far proprio nelle stanze della politica, tutti insieme, e magari seguendo alcuni dei suggerimenti che sono stati indicati nel Rapporto, a trovare delle soluzioni concrete. Il 2021 è stato un anno senz’altro complesso, con i ripetuti colpi di coda della pandemia a cui si sono aggiunte tensioni e circostanze avverse per certi versi inattese sul mercato dell’energia, ma è ormai davvero urgente e improcrastinabile riprendere a intensificare l’installazione di nuovi impianti alimentati da energie rinnovabili, così come «gestire correttamente le strutture esistenti, per evitare di allontanarci ancora di più dal percorso verso la decarbonizzazione». A dirlo è Davide Chiaroni, vicedirettore di Energy & Strategy della School of Management del Politecnico di Milano, commentando i risultati contenuti nel Rapporto sulle energie rinnovabili (RER).
Qual è la fotografia del mercato italiano?
La fotografia del ritardo italiano è impietosa. Le installazioni sono ripartite con la ripresa post-pandemica, ma la quantità di nuovi impianti fotovoltaici ed eolici è solo di poco superiore a quella del 2019. A differenza dell’Europa, che procede a passi molto più spediti ed è ormai prossima al traguardo complessivo dei 700 GW. E tutto questo mette a forte rischio il raggiungimento dei target climatici, sia al 2030, che puntano al 72% di Fer nella generazione elettrica, sia al 2050. La nostra roadmap della decarbonizzazione non sembra affatto a buon punto.
Andando nel dettaglio, secondo quanto evidenziato nel rapporto, la capacità di rinnovabili installata in Italia durante il 2021 è stata complessivamente di 1.351 MW (+70% di potenza rispetto ai 790 MW del 2020, quando era diminuita del 35%) e questo ha portato il Paese a superare la soglia dei 60 GW: l’aumento è stato trainato dalla nuova capacità di fotovoltaico (+935 MW, +30% rispetto al 2020), seguito dall’eolico, che ha registrato la crescita più marcata (+404 MW, +30%) e, ben distanziato, dall’idroelettrico (+11 MW), mentre le bioenergie sono addirittura in diminuzione (-14 MW). Come si accennava prima, procedendo di questo passo, si legge nel Renewable Energy Report, nel 2030 avremmo un parco eolico e fotovoltaico di poco superiore ai 50 GW, rendendo impossibile l’obiettivo (aumentato con il PTE, il Piano per la transizione ecologica) di un installato totale di rinnovabili tra i 125 e i 130 GW. Queste cifre si possono raggiungere solo se il tasso di installazione sarà quattro volte maggiore dell’attuale per l’eolico (circa 1,75 GW/anno contro gli 0,38 GW/anno di oggi) e sette volte maggiore per il fotovoltaico (circa 5,6 GW/anno contro 0,73 GW/anno). E rimandando di continuo non si fa altro che peggiorare, forse irreversibilmente, la situazione.
Ci sono anche buone notizie?
La buona notizia, viene sottolineato nel rapporto del Politecnico di Milano, è data dalla concreta possibilità di mettere in atto soluzioni ad hoc, così come sono a disposizione di policy maker e operatori del settore studi e analisi, ad esempio sul ruolo che le energie rinnovabili potrebbero avere nel mitigare il prezzo dell’energia. “Per centrare gli obiettivi europei al 2030 si dovrebbero installare in Italia almeno 60-65 GW di nuova capacità produttiva da fonti rinnovabili non programmabili, ma non è possibile senza una semplificazione normativa, in particolare nelle autorizzazioni, e un più facile accesso agli incentivi: qualcosa è stato fatto, ma la strada è lunga – ha continuato Chiaroni – nonostante le rinnovabili rappresentino una grande opportunità per la competitività del nostro Paese, che vedrebbe non solo una drastica riduzione della propria dipendenza energetica, ma potrebbe anche raggiungere livelli molto competitivi del costo dell’energia grazie alla disponibilità di risorse come sole e vento. È indispensabile una programmazione integrata e coerente, perché le azioni previste per i prossimi anni determineranno il nostro posizionamento strategico nel futuro sistema economico globale. Saranno necessari anche ingenti investimenti (tra i 40 e 50 miliardi di euro al 2030, senza considerare quelli per gli accumuli e il potenziamento delle infrastrutture di rete) quindi vanno create le condizioni perché il mercato finanziario e gli investitori internazionali giochino un ruolo attivo nello sviluppo del settore”.
Se guardiamo alle aste per i grandi impianti, i sette bandi predisposti dal Decreto FER1 sono giunti a conclusione, ma con risultati non soddisfacenti: la partecipazione durante il 2021 è rimasta bassa, in larga misura a causa dell’andamento intermittente del rilascio delle autorizzazioni, e questo ha lasciato per tutti i gruppi un contingente non assegnato che andrà colmato con due ulteriori bandi previsti per il 2022.
Qual è il ruolo del Piano nazionale di Ripresa e Resilienza?
Quanto al PNRR, come è noto, sono poco meno di 6 i miliardi di euro dedicati alle energie rinnovabili (1,1 per lo sviluppo dell’agro-voltaico; 2,2 per le Comunità energetiche nei piccoli Comuni; 0,68 per la promozione di impianti innovativi; 1,92 per lo sviluppo del biometano) all’interno dei 25,36 miliardi destinati a “Rivoluzione verde e transizione ecologica”, in cui rientrano anche l’idrogeno e la mobilità sostenibile. Si tratta però ancora una volta di singoli progetti specifici che non costituiscono un piano strutturato.
Capitolo start-up, altro settore in cui lo studio è molto attivo. Qual è il processo di internazionalizzazione?
La crescita delle tech start-up italiane, e di conseguenza dell’intero eco-sistema start-up nazionale, passa automaticamente da un processo di internazionalizzazione, anche solo europeo. In effetti ci sono varie ragioni che obbligano le start-up innovative a fare un passo essenziale, quello della presenza all’estero. Il primo motivo è l’aspetto dimensionale del mercato interno. Per esempio, l’Italia rappresenta un mercato relativamente piccolo che non consente di raggiunge facilmente la massa critica di utenti necessaria per sviluppare al suo massimo le idee di business e soprattutto a capire se la propria proposta sul mercato è valida. Per questi motivi l’internazionalizzazione permette di accedere a mercati più ampi e dinamici che consentono di aumentare la propria visibilità e di essere più reattivi. Un altro aspetto che spinge spesso una start-up all’internazionalizzazione è la difficoltà di realizzare un’exit degna dell’innovazione proposta. I mercati esteri possono potenzialmente offrire maggiori opportunità di effettuare un’exit all’altezza della ricerca e dell’innovazione sviluppate. Un altro motivo è la limitata propensione ad investire da parte dei finanziatori italiani, aspetto che costringe le start-up italiane a ricercare fonti finanziamento estere. Gli investitori stranieri accettano di sostenere le tech start-up italiane richiedendo spesso un’espansione geografica o un cambio di sede legale per motivi di avvicinamento a mercati meglio conosciuti dagli investitori stessi. Inoltre, il quadro normativo di un altro paese “rassicura” gli investitori, rispetto a quello italiano considerato (non a torto) molto complicato, poco reattivo ai cambiamenti e confuso. Non dobbiamo nasconderci che per avviare il processo di internazionalizzazione per una start-up è necessario impostare lo sviluppo della start-up come “born global”, pensata fin dalla nascita per una presenza e un’operatività internazionale. Le sfide della globalizzazione e le opportunità offerte dalle nuove tecnologie hanno fatto emergere questo nuovo fenomeno di imprese capaci di processi di internazionalizzazione significativi in breve tempi, dalla nascita della realtà. Le start-up born-global, ormai diffuse a livello internazionale, rappresentano una quota sempre
piů rilevante delle nuove imprese, in particolare modo nei settori manifatturiero e high-tech. L’ecosistema “Italia” delle startup deve essere considerato ormai come un’eco-sistema delle startup italiane nel mondo.
Quali altri vantaggi offerti dal mercato Emiratino?
Gli Emirati Arabi Uniti non applicano l’imposta sulle società su investimenti esteri o nazionali in alcun settore.
Non esiste uno specifico sistema di incentivi per gli investimenti esteri. In genere, esiste una procedura di gara aperta per i progetti promossi dal governo. Tuttavia, in alcuni settori ritenuti prioritari, termini e modalità guida dell’investimento da realizzare possono essere concordati caso per caso. Gli Emirati Arabi Uniti sono parte di diversi trattati bilateri sugli investimenti. Tuttavia, il rischio politico negli Emirati Arabi Uniti è generalmente percepito come basso, quindi questa non è tipicamente una delle principali preoccupazioni degli investitori stranieri. Ancora, tasse come l’imposta sulle società o ritenuta alla fonte non sono riscosse negli EAU mentre, invece, sono previste espressamente per registrazioni, permessi e così via. Tuttavia, l’Iva, ad oggi non contemplata dal sistema fiscale locale, sarà probabilmente introdotta nel prossimo futuro. Non vi è, poi, alcun divieto contro i conti in valuta estera, tenuti negli Emirati Arabi Uniti o offshore così come non ci sono restrizioni al pagamento di dividendi (subordinatamente alle condizioni tipiche come la disponibilità di riserve distribuibili, ecc.) o al rimborso di prestiti soci a società madri estere. In generale, il regime di importazione è relativamente liberale e quindi ci sono restrizioni limitate o nessuna restrizione in relazione alla maggior parte degli impianti e macchinari necessari per i progetti ma ciò deve essere considerato e confermato caso per caso.
Quali sono gli obiettivi di Avocom per il secondo semestre 2022?
Come detto in precedenza, le soluzioni tecnologiche si siano rivelate essenziali per la resilienza del business nell’ultimo anno e noi vediamo nella digital transformation e nella tecnologia due driver di cambiamento sui quali continueremo ad investire per migliorare prestazioni, efficienza e produttività. La pandemia globale ha accelerato la trasformazione digitale anche nella professione legale, segnando un passo importante soprattutto per alcune tecnologie fondamentali nella gestione del business e nel contenimento dei costi ed è in quella direzione che bisogna continuare a muoversi con sempre maggiore convinzione e investimento di risorse finanziarie, organizzative, umane.
Quanto all’espansione nei mercati che consideriamo core per il nostro business, continueremo a focalizzare la nostra attenzione sugli Emirati Arabi, sulla Cina e sul Far East soprattutto nei settori dell’energy e del project finance. Come abbiamo già rimarcato proprio su queste pagine, la pandemia ha colpito diversi settori dell’economia emiratina e, allo stesso tempo, ha innescato o, per meglio dire, accelerato una serie di importanti riforme che non potranno che agevolare la ripresa economica e commerciale nel tempo.
Negli Emirati Arabi Uniti (UAE), il project finance è stato utilizzato principalmente nei settori dell’energia e delle risorse naturali come l’acqua, oltre che nel settore immobiliare. Al di fuori dei suddetti settori, sono previsti finanziamenti di progetti nei settori dell’industria pesante, tra cui siderurgico e petrolchimico.
Si prevede che in futuro il modello di PPP / project finance possa essere esteso ad altri settori, tra cui sanità ed istruzione.